
Il gregge di Franco Galbusera
Pasturo (Lecco), 4 febbraio 2019 - Franco Galbusera, 63 anni di Pasturo, è uno degli ultimi pastori che ogni inverno con le sue pecore lasciano la Valsassina per raggiungere la Brianza e tornare poi agli alpeggi di montagna solo in primavera. Ci sono lui, suo figlio e pochi altri che si contano sulle dita di una mano in tutta la provincia di Lecco, perché quello del pastore è un mestiere difficile che sta scomparendo e assistere al grande spettacolo della transumanza è ormai sempre più raro.
Da quando svolge questo lavoro?
«Da sempre, da quando ero bambino. Era pastore mio nonno, lo era mio zio e lo sono io. E lo è anche mio figlio Andrea, che ha trent’anni. Lui ha studiato, è diplomato geometra: gli ho detto di non imitarmi, ma lui preferisce l’aria aperta all’ufficio».
Quante pecore ha?
«Il gregge è di circa 800 pecore, poi ci sono alcune capre, un vitellone, alcuni asini su cui carichiamo gli agnellini appena nati e naturalmente i cani, che sono tre meticci di pastore bergamasco addestrati dalla madre fin da cuccioli».
Quanto dura la transumanza?
«Siamo partiti il 25 novembre, io per ora verso il Meratese e poi probabilmente verso la Bergamasca, mio figlio invece verso la zona di Missaglia e Casatenovo. Contiamo di tornare indietro in Valsassina per la metà di maggio».
Dove dorme?
«Io e i miei tre collaboratori lasciamo le pecore nei campi e nei prati all’interno di un recinto che allestiamo e noi dormiamo vicino nelle roulotte per assicurarci che alle nostre bestie non succeda nulla di grave. Dobbiamo proteggerle, il pericolo maggiore sono i cani che scappano dalle proprietà private, una volta ce ne hanno ammazzate duecento in una notte. Ogni tanto però torniamo anche a casa dalle mogli, altrimenti poverette non stiamo mai con loro».
Com’è il mestiere del pastore della transumanza?
«È dura andare avanti, è sempre più dura. È che non ci sono più gli spazi, hanno costruito ovunque, e per non dare fastidio agli automobilisti dobbiamo metterci in marcia all’alba. Guardi qui a Brugarolo di Merate: adesso son solo case, capannoni, strade, prima era tutta campagna. E nei pochi prati rimasti è quasi un problema fermarsi: non danneggiamo nulla, non si tratta di campi coltivati perché è inverno, anzi li ripuliamo, ma in molti non ci vogliono».
Come si guadagna da vivere?
«Ormai si guadagna poco. La lana non si piazza più qui in Italia, una delle ultime aziende a cui la vendevamo è fallita e io ci ho rimesso i soldi. Non si riesce a produrre nemmeno la carne, gli animalisti non vogliono che macelliamo gli animali, così i supermercati sono pieni lo stesso di carne però unicamente straniera. Per abbattere un capo inoltre ci vogliono permessi, dobbiamo avvisare i veterinari e ottenere i certificati... Teniamo duro solo con il latte, sebbene renda poco. Mio nonno con 120 pecore ha costruito due case, io con 800 fatico a campare».
E allora perché continua a fare il pastore?
«Perché non saprei e nemmeno vorrei fare altro, questa è la mia vita che mi piace e mi rende felice».