Lecco, 5 maggio 2019 - «È come se fosse morto tre volte. La prima dopo essere caduto dal cavalcavia abbandonato lì sotto quel ponte in attesa di essere soccorso, la seconda quando è stato chiesto di archiviare il caso e adesso ce lo hanno ammazzato di nuovo per la terza volta con la decisione di chiudere definitivamente la vicenda, senza valutare le responsabilità, senza nemmeno un processo, senza dirci se avrebbero potuto salvarlo».
Sono arrabbiati, ma soprattutto delusi mamma Diana Mirabella e papà Giovanni, ex poliziotto in pensione, genitori di Francesco Pischedda, l’agente della Stradale di Bellano morto ad appena 28 anni di età nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 2017 dopo essere precipitato da un viadotto della Super all’altezza di Piona di Colico nel tentativo di bloccare un ladro, lasciato agonizzante in strada e sballottato per cinque ore e mezza da un ospedale all’altro prima di essere trasferito in sala operatoria, trecentoventotto interminabili minuti durante i quali avrebbe potuto forse essere salvato, come si è salvato il fuggitivo che stava braccando. «Noi credevamo nello Stato, vogliamo ancora credere nello Stato, ma lo Stato ci ha deluso, anzi i magistrati e i giudici dello Stato che non vogliono darci le risposte che meritiamo di conoscere ci hanno deluso – proseguono i due genitori, che abitano in Sardegna -. Noi non volevamo e non vogliamo condanne a tutti i costi, non ci interessano risarcimenti né soldi, desideriamo solo che altri figli e altri genitori di bimbi piccoli muoiano in quel modo. Il sistema sanitario della Lombardia è considerato un’eccellenza nazionale, eppure...». Eppure loro figlio è morto, perché in un nosocomio provinciale come l’Alessandro Manzoni di Lecco non si potevano trasferire e operare contemporaneamente due pazienti gravi e così lui è stato portato inizialmente a Gravedona, dove però i medici non erano attrezzati per assisterlo.
Secondo il gup del Tribunale di Lecco Salvatore Catalano, come del resto sostenuto dal pubblico ministero Paolo Del Grosso che per primo ha chiesto di cassare l’inchiesta a carico di ignoti con l’accusa di omicidio colposo, il giovane servitore dello Stato sarebbe morto comunque lo stesso indipendentemente dalle tempistiche e dall’organizzazione dei soccorritori a causa delle ferite troppo gravi riportate nel volo. Lo indicherebbero le statistiche e poco importa se però il malvivente che tallonava invece ce l’ha fatta. «Noi non ci arrendiamo, troveremo un modo per andare avanti e ottenere – assicurano la madre e il padre di Pischi, come lo chiamavano i colleghi che gli hanno intitolato la caserma e dedicato un’intera sala -. Voi però dovete aiutarci, tutti dovrebbero aiutarci, abbiamo il dovere di impedire che altri poliziotti che si sacrificano per i cittadini onesti muoiano in quel modo e di risparmiare ad altri genitori, figli, familiari e amici il dolore che stiamo provando noi».