Civate, 10 settembre 2023 – L’abbazia di San Pietro al Monte di Civate è un luogo affascinante e misterioso. Nei boschi alle pendici del Cornizzolo, dove sorge l’antico monastero, riecheggiano leggende di demoni, feroci cinghiali bianchi e acque prodigiose.
Si narra anche del principe Adelchi, miracolosamente guarito dalla cecità, e di suo padre Desiderio, l’ultimo re dei Longobardi che nella seconda metà del VIII secolo avrebbe ordinato di costruire il primo monastero proprio per riconoscenza per il figlio miracolato.
La basilica dalle mura chiare che risplendono alla luce della luna, la scalinata, l’oratorio, la cripta austera dove un tempo pregavano e lavoravano i benedettini, sono così unici e particolari che potrebbero essere l’ambientazione perfetta di romanzi come Il nome della rosa di Umberto Eco, Le indagini di fratello Cadfael di Ellis Peters, Il codice da Vinci di Dan Brown.
Ai racconti mitologici sulle origini, alla reale storia millenaria sui monaci che lì hanno vissuto e alle cronache più recenti sugli sforzi che dal 1975 stanno compiendo gli Amici di San Pietro al Monte e i religiosi della famiglia del Beato Angelico per proteggere e valorizzare l’abbazia di San Pietro al Monte occorre ora aggiungere un nuovo ammaliante capitolo, sebbene ancora ricco di incognite.
Adesso il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha infatti ufficialmente candidato per l’Italia l’abbazia di San Pietro al Monte di Civate alla lista del Patrimonio mondiale della Convenzione Unesco. Un passo fondamentale affinché l’antico complesso diventi Patrimonio dell’umanità, come chiesto dal 2016.
Lo annuncia Maria Grazia Nasazzi, presidente della Fondazione comunitaria del Lecchese, sponsor della candidatura: "Essere presentati quale candidatura italiana per la verifica preliminare ai fini di iscrizione alla lista del Patrimonio Unesco è un grandissimo risultato". Insieme all’abbazia di San Pietro al Monte sono in lizza per diventare “meraviglie del mondo“ pure i monasteri di Montecassino, di Subiaco Santa Maria di Farfa nel Lazio, San Vincenzo al Volturno di Isernia, San Michele della Chiusa a Sant’Ambrogio di Torino, Sant’Angelo in Formis di Capua e San Vittore alle Chiuse di Genga ad Ancona, che testimoniano la portata universale del monachesimo in Italia e in Europa. "Una cordata di siti, comuni e regioni che percorre gran parte del Paese – conferma la presidente della Fondazione del Lecchese – Le fisiologiche diversità di vedute, le peculiarità di territori differenti hanno trovato unità d’intenti".
Il percorso per il riconoscimento resta lungo e tutt’altro che scontato. "La strada tuttavia è tracciata e abbiamo compagni di viaggio seri e appassionati", assicura Maria Grazia Nasazzi.