Barzanò (Lecco), 20 ottobre 2023 – “Mi sono attardata per cercare di convincere la maestra a togliermi la nota. Non ci sono riuscita, ma questa cosa mi ha salvato la vita". Carla Clerici ha 87 anni, vive con il marito a Barzanò, nella Brianza lecchese e, anche se sono passati quasi ottant’anni, ha la voce che ancora le trema quando parla di quel 20 ottobre 1944.
Alle 11. 29 di quel giorno - "Una giornata di sole splendida" - una bomba sganciata da un aereo americano distrusse la sua scuola, l’elementare Francesco Crispi in piazza Redipuglia, nel cuore del quartiere di Gorla. Fu una strage: la macabra conta finale fu di 184 bambini, 14 insegnanti, 4 bidelli e la direttrice della scuola. Tutti morti. "Per anni - dice la figlia di Carla, Silvia - la mamma non ha parlato di quello che successe quel giorno. Di come si è salvata. Solo ultimamente si è decisa a spiegarcelo".
“È una cosa a cui ho pensato per tutta la vita e ancora ci penso - dice la signora Carla - Quando sento parlare di guerra o, come in questi giorni, vedo le immagini dei morti e le distruzioni dei bombardamenti, mi prende un’agitazione, una tristezza, che neanche io so spiegare”. È anche per questo che, negli anni, la signora Carla non ha mai partecipato in forma ufficiale alla cerimonia che si svolge ogni 20 ottobre davanti al monumento per i Martiri di Gorla e non è mai rientrata nello stretto circolo - che si assottiglia ogni anno di più - dei sopravvissuti.
Per lei, del resto, il confine tra la vita e la morte è stato davvero sottile. Questione di minuti, di coincidenze, di fortuna sfacciata. Ritornare a quegli istanti, quando due interi quartieri - Gorla e Precotto - e i loro abitanti furono spazzati via dalle bombe, è ritornare in un incubo incomprensibile ancora oggi. Figurarsi agli occhi di una bambina di nove anni.
“Ero in quarta elementare - ricorda Carla - e di quella mattina ricordo tante cose. La prima è la campanella. Poco prima dell’allarme infatti suonò la campanella e la maestra ci mise in fila per uscire. Ricordo la direttrice che dalle scale ci gridava di uscire, velocemente. Cosa che facemmo”. E qui ecco il caso, la strada secondaria del destino, che trascina Carla un po’ più in là. Quel tanto che basta per poter essere qui, ora, a raccontare la sua storia.
“Ero una studentessa un po’ irrequieta, diciamo così. Non riuscivo mai a stare ferma. Ero un po’ la disperazione della maestra. Mi alzavo durante la lezione per andare a chiacchierare con le compagne. E capitava spesso che prendessi delle note. Come infatti successe quel giorno.
L’ennesima nota che proprio non volevo portare a casa. Così, quando uscimmo dalla scuola, con gli aerei che già si vedevano sopra di noi, accompagnai la maestra che stava andando alla fermata del tram. Volevo convincerla a togliermi la nota. L’ho seguita fino in viale Monza per provare a impietosirla. Non ce l’ho fatta. L’ho lasciata alla fermata e mi sono tenuta la mia nota sul diario".
Carla abitava con la mamma casalinga e il papa, cuoco al Boschetto (il grande ristorante con sala da ballo di viale Monza 140, che sorgeva dove anni dopo verrà inaugurato lo Zelig), in un caseggiato interno di via Minturno. In pratica, dietro la scuola. Dalla sua cameretta all’aula ci metteva forse dieci minuti. La deviazione che fece quella mattina del 20 ottobre del 1944 per perorare la sua causa con la maestra, di fatto, le salvò la vita.
"Per seguire la maestra allungai la strada, passando da viale Monza. La bomba sulla scuola e quelle su tutto il quartiere esplosero quando arrivai al portone di casa. Ero sul portone d’ingresso, quando crollò tutto. Tutto tranne, incredibile, l’arco del portone. Fu l’unica cosa che rimase in piedi. Io mi salvai perché ero lì sotto. Tutti quelli della casa, appena suonato l’allarme, si rifugiarono in cantina. Morirono tutti. Io mi sono salvata, in pratica, perché sono arrivata troppo tardi per scendere con gli altri”. E così fu anche per la mamma di Carla, che si era attardata in casa e non aveva fatto in tempo a raggiungere il rifugio.
“Ricordo ancora l’abbraccio con mia mamma e quello con mia sorella, che lavorava in centro a Milano, e corse a casa pensando che la sua sorellina fosse sotto le macerie". Diverso invece fu il destino della maestra. "Lei invece morì nel bombardamento in viale Monza. Il suo nome è nell’ossario sotto il monumento di Gorla”.
Lo stesso monumento davanti al quale Carla, accompagnata dal figlio Massimiliano, facendosi forza ancora una volta, si fermerà oggi a ricordare e lasciare un pensiero ai piccoli compagni di scuola rimasti bambini per sempre.