San Giorgio su Legnano (Milano), 3 dicembre 2024 – Un nuovo atto, un vecchio incubo. Il 21 gennaio segna il ritorno davanti alla giustizia di uno dei delitti di ‘ndrangheta più oscuri e simbolici della Lombardia.
La seconda Corte d’Assise d’Appello di Milano dovrà pronunciarsi nuovamente sulla colpevolezza di Francesco Cicino e Vincenzo Farao, accusati di essere figure chiave nell’assassinio di Cataldo Aloisio, imprenditore edile di 34 anni originario di Cirò.
ll corpo di Aloisio venne rinvenuto la mattina del 27 settembre 2008, abbandonato davanti cimitero di San Giorgio su Legnano, un messaggio di morte che portava il marchio inconfondibile della ‘ndrangheta. La storia giudiziaria è travagliata.
Assolti nel novembre 2020 dalla Corte d’Assise di Busto Arsizio, Cicino e Farao erano stati condannati all’ergastolo in appello. Tuttavia, il verdetto è stato annullato lo scorso giugno dalla Corte di Cassazione, che ha ordinato un riesame, riaprendo spiragli di dubbio e lasciando ferite ancora aperte.
I punti oscuri
Per Vincenzo Farao, cognato della vittima, il punto centrale sarà la rivalutazione delle testimonianze chiave. La Suprema Corte ha disposto di riascoltare collaboratori di giustizia e testimoni per confermare o smentire la sua presenza a Legnano il giorno del delitto. Diversa, ma altrettanto intricata, la posizione di Francesco Cicino.
Le telecamere di un centro commerciale avevano ripreso Cicino con Aloisio poco prima della scomparsa dell’imprenditore. Ora, il tribunale dovrà considerare ipotesi alternative che potrebbero ridefinire il suo ruolo nei tragici eventi.
Se il destino di Cicino e Farao resta in bilico, quello di Vincenzo Rispoli, capo della locale di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo, e dei reggenti della cosca madre a Cirò, Silvio Farao e Cataldo Marincola, è segnato: condanne all’ergastolo ormai definitive.
Esasuctore e mandanti
Rispoli è stato riconosciuto come l’esecutore materiale dell’omicidio, mentre Farao e Marincola ne sarebbero stati i mandanti. Il perché è spietatamente chiaro. Aloisio era diventato un pericolo. La sua volontà di vendicare lo zio Vincenzo Pirillo, reggente della cosca di Cirò Marina assassinato nell’agosto 2007, e il sospetto che collaborasse con le forze dell’ordine lo avevano reso una mina vagante.
Per i boss, una minaccia da eliminare. Le rivelazioni di tre collaboratori di giustizia, tra cui Emanuele De Castro, ex braccio destro di Rispoli, hanno tracciato un quadro implacabile: la cosca ha decretato la sua fine senza esitazioni. Il 21 gennaio, dunque, non sarà solo un appuntamento processuale, ma un capitolo decisivo nella lotta alla criminalità organizzata. Davanti alla giustizia, le ombre di quel tragico 2008 torneranno a scontrarsi con la luce della verità.