di Paolo Girotti
La proprietà di Emerson non cambia idea, chiuderà lo stabilimento e attiverà da subito la procedura di crisi aziendale anche se i sindacati hanno provato a chiedere tempo per far sì che le tappe di questa stessa procedura, cadenzate da termini temporali stringenti, non si trasformino in un vero e proprio conto alla rovescia per i lavoratori dell’azienda di Rescaldina: il confronto, dunque, riprenderà presumibilmente sul tavolo regionale dopo che la procedura di crisi (della durata di 90 giorni) verrà ufficialmente aperta il prossimo 24 febbraio Ieri pomeriggio i 150 lavoratori della Emerson sono tornati in strada a Legnano per una nuova manifestazione che li ha condotti da piazza Monumento fino in via XX Settembre, alla sede di Confindustria Altomilanese, sede del previsto incontro tra le rappresentanze sindacali e dell’azienda, il primo faccia a faccia da quando l’intenzione di chiudere è stata ufficializzata. In testa al corteo, anche se poi non ha preso parte all’incontro, anche il sindaco di Legnano Lorenzo Radice. Il dato di fatto, ampiamente atteso, è che l’azienda non intende recedere dall’intenzione di delocalizzare la produzione da Rescaldina alla Malesia e alla Germania. "Abbiamo richiesto una data che potrebbe essere il 9 o 10 marzo per la convocazione del tavolo in Regione – spiega Antonio Del Duca, di Fiom Cgil -. Per adesso a parte dichiarazioni di forma e impegni solo verbali a voler reindustrializzare, tutto è ancora da concretizzare. Noi vogliamo garantire la continuità, se poi si dovesse anche trattare di qualcuno che non fa valvole l’importante è garantire la continuità del sito e la garanzia del mantenimento del posto di lavoro". "Un primo obiettivo sarà evitare di far cadere la scadenza della procedura con il mese di settembre, che coinciderebbe con la chiusura dell’anno fiscale per la casa madre francese - aggiunge Mario Principe, segretario Cgil Ticino Olona - perché significherebbe, a scadenza di procedura e se non è stata trovata una soluzione, partire con i licenziamenti. Per questo abbiamo la necessità di temporeggiare per creare quello spazio necessario a reperire una soluzione che al momento è difficile identificare". "Ai ripetuti appelli da parte di Fim e Fiom di rinviare la decisione di chiusura e quindi di non aprire procedure ufficiali l’azienda ha risposto di no – è poi la posizione di Edoardo Barra, Fim Cisl -. Le parti sindacali non condividono questa scelta e non si accontentano di un impegno a parole senza soluzioni concrete. La Fim non ritiene soddisfacenti le risposte date dall’azienda e ribadisce la richiesta di sedersi al tavolo senza aprire nessuna procedura. Vanno trovate soluzioni prima che sia tropo tardi e abbiamo bisogno di più tempo. L’azienda non può nascondersi dietro procedure ufficiali per giustificare un licenziamento collettivo che porterà sempre più alla desertificazione del tessuto industriale di questo territorio".