GABRIELE MORONI
Cronaca

Omicidio della piccola Matilda, il killer? "Uno dei due"

Assolta la madre, assolto il suo fidanzato. I giudici: verità negata da carenza di prove

la piccola Matilda

Legnano, 2 febbraio 2019 - «... Uno dei due è certamente il colpevole: perché certamente o uno o l’altro ha mentito, dal momento che entrambi hanno negato di aver colpito Matilda». Pare di cogliere un senso di amarezza impotente nelle motivazioni della sentenza con cui, il 21 dicembre, la prima Corte d’Assise d’appello di Torino ha confermato l’assoluzione per non aver commesso il fatto di Antonino Cangialosi, 46 anni, un passato di bodyguard, oggi impiegato nella logistica. Contro di lui nessuna prova. Dopo tredici anni e mezzo una resa, la «sconfitta del sistema giustizia» di cui ha parlato il rappresentante dell’accusa, il sostituto pg Marcello Tatangelo, prima di chiedere l’assoluzione.

Il pomeriggio del 2 luglio 2005, in una casa colonica nella campagne vercellesi di Roasio, Matilda Borin, 22 mesi di bellezza e vivacità, ricevette alla schiena un colpo (forse un calcio) tanto violento che spappolò la milza e provocò il distacco di un rene e fratture costali. Un colpo mortale. Due sole persone erano accanto alla bambina: Elena Romani, oggi 44 anni, hostess di Legnano, e Cangialosi, suo fresco fidanzato. Per le sentenze nessuno dei due colpì Matilda. Non la donna definitivamente assolta dopo i tre gradi di giudizio dall’accusa di omicidio preterintenzionale (la stessa dell’ex compagno). Non Cangialosi, già prosciolto due volte e assolto sia dal gup di Vercelli sia dai giudici dell’appello torinese.

Sono problematiche, quasi sofferte, le 64 pagine redatte dal giudice relatore Gianni Macchioni e firmate anche dal presidente Fabrizio Pasi. Le indagini furono, dall’inizio, sia unilaterali in direzione della Romani, sia lacunose. «Appare ragionevole l’affermazione di chi ha criticato lo svolgimento delle indagini, in quanto da subito indirizzatesi unicamente nei confronti di Romani, forti degli indizi costituiti dalla rassomiglianza di una delle calzature di costei con il livido sulla schiena della vittima e del contenuto di soliloqui intercettati poche settimane dopo il fatto: indizi rivelatisi in seguito privi di consistenza. Le indagini sembrano non essere state sufficientemente aperte nella ricerca di ulteriori elementi nei confronti della donna e, al contempo, di elementi a carico dell’unica altra persona che avrebbe potuto esser stata colpevole ove Romani fosse risultata innocente». Nonostante questo, è l’importante conclusione, «è certo che sulla base degli elementi a disposizione, a carico di Antonino Cangialosi, in relazione alla contestazione che gli viene mossa, non solo non risulti alcuna prova ma non sia possibile estrapolare anche un solo indizio fornito di adeguata univocità e consistenza».

L’innocenza dichiarata per uno non significa, automaticamente, la responsabilità dell’altro. «Sebbene si possa dare per certo che solo due persone possano aver commesso un determinato delitto, l’assoluzione di una di esse non può dimostrare da sola la colpevolezza dell’altra, perché occorre comunque una prova positiva della responsabilità, oltre ogni ragionevole dubbio, ed è ben possibile che gli elementi a disposizione non ne consegnino di adeguate né a carico di uno dei due potenziali responsabili né a carico dell’altro».