Busto Arsizio (Varese), 4 marzo 2025 – Un percorso lungo poco più di due anni in cui la vita del barista parabiaghese è cambiata totalmente, partendo dal primo incontro tra lui e Adilma – che in quella occasione era accompagnata dal suo “santone” brasiliano – per passare al rapporto di “amore” e totale sudditanza nei suoi confronti, al racconto che Adilma gli faceva della relazione con Fabio Ravasio, per arrivare alla richiesta di aiutarla a trovare un killer disposto a ucciderlo e, infine, all’organizzazione del piano con il finto incidente stradale e l’omicidio: c’è un po’ di tutto nelle dichiarazioni spontanee, qui riprodotte in maniera più o meno integrale, che Massimo Ferretti ha fatto mettere nero su bianco in occasione dell’udienza di lunedì del processo per l’omicidio di Fabio Ravasio. Un processo che vede imputati Adilma Pereira Carneiro, la “mantide di Parabiago”, lo stesso Massimo Ferretti, amante della donna, e altre cinque persone che hanno partecipato a vario titolo al piano. Ferretti, come noto, ha chiesto di rilasciare le sue dichiarazioni spontanee alla conclusione dell’udienza.

Riti esoterici
“Oggi vorrei rendere le mie dichiarazioni perché non posso aspettare più – ha esordito Ferretti –. Voglio spiegarvi tutto quello che è successo. La prima volta che incontrai Adilma fu circa due anni fa, fu quando venne per fare colazione al bar insieme a un uomo brasiliano che successivamente ho scoperto che era il suo santone, con il quale faceva dei riti. Anche io sono stato oggetto dei suoi riti, che lei chiamava “riti purificatori”. Io non so bene cosa mi stesse facendo, so che ci teneva moltissimo: utilizzava anche gli animali morti per fare questi riti. Successivamente Adilma ha continuato a frequentare il mio bar più spesso, anche con i suoi figli. A ottobre 2023 mi sono innamorato di lei, anche se poi ho scoperto che non era amore quello che provavo, ma era un attaccamento del quale non potevo più fare a meno. Un rapporto patologico. Non sapevo che Adilma fosse sposata col Trifone, non l'ho mai saputo. Comunque abbiamo iniziato ad avere rapporti intimi in motel e a casa sua”.

Sesso e umiliazioni
Un rapporto che nella sua ricostruzione Ferretti ha descritto come di totale sudditanza: “Erano frequentazioni strane. Mi trattava male, non riuscivo a staccarmi da lei. Quando mi chiamava dovevo rispondere subito; se chiamavo io, mi buttava giù il telefono se non le rispondevo immediatamente. Lei non si faceva vedere al bar per alcuni giorni e io stavo male”. Ferretti è poi passato a quella che, a suo modo di vedere, è la ricostruzione di quanto accaduto mese dopo mese attraverso i racconti di Adilma. sino al piano per uccidere Ravasio: “Ci sono altri esempi che potrei farvi, ma oggi non sono qui per questo. Oggi sono qui per spiegarvi cosa è successo quel maledetto giorno a Fabio Ravasio. Adilma mi ha raccontato di averlo conosciuto quando lei lavorava in un bar a Magenta: mi disse che era rimasta incinta dei gemelli e che vivevano insieme, ma non andavano d'accordo. Lui insieme alla madre di lui voleva farla abortire e una volta che lei aveva deciso di tenere i figli, la famiglia di lui voleva portarli via. Mi ha dipinto Ravasio come un uomo violento, che una volta aveva anche picchiato il padre ed erano dovuti intervenire i carabinieri. Mi disse, inoltre, che era preoccupata con le sue figlie perché lui le toccava nelle parti intime mostrandosi a loro senza vestiti. Mi diceva continuamente che Ravasio voleva fare l'amore con lei anche se lei non voleva e che si intrufolava nel suo letto di notte pretendendo rapporti intimi contro la sua volontà e che lei non ce la faceva più”.
Il confidente
I racconti di Adilma, a detta di Ferretti, erano patrimonio di molti: “Si confidava con me, con mia sorella, con Oliva, con Lavezzo, e altri. Lo ha dipinto come un mostro. Dovete sapere che Parabiago è un piccolo paese e il mio bar era un punto di ritrovo: tutti eravamo molto preoccupati per Adilma, che per noi era diventata una vittima. Tutti noi le consigliavamo di lasciarlo, di denunciarlo, ci rispondeva sempre che non era possibile perché l'avrebbe stalkerizzata e lei aveva paura. Anche Lavezzo l'aveva presa a cuore, tanto è vero che a maggio 2024 voleva andare a parlare nel negozio di Ravasio, utilizzando le sue maniere. Lui mi scrisse anche in un messaggio che voleva sapere il nome del negozio di Ravasio. In quel momento Adilma era accanto a me e mi disse di scrivergli di non fare niente, altrimenti Ravasio avrebbe dato la colpa a lei”. E così si arriva all’estate del 2024: “A giugno 2024 mi disse che questa non era più vita e che se le volevo davvero bene dovevo trovare qualcuno per uccidere Ravasio: io le risposi di non fare stupidaggini anche perché lei mi aveva riferito che Ravasio aveva un tumore in fase terminale, che stava male e raccontava a molte persone che sarebbe stato sufficiente attendere la morte naturale”.

Offese e umiliazioni
"Lei mi ribadiva che non era più disposta a vivere in questo modo e che io non “avevo le palle” di fare niente – continua il racconto di Ferretti in aula –. Da quel momento, ogni giorno, ha cominciato a tartassarmi chiedendomi di parlare con un certo Tony, che era un uomo di strada per chiedere se conosceva qualcuno in grado di uccidere Ravasio. Per farla contenta ogni tanto facevo finta di chiamare Tony. Tutti i giorni mi tartassava chiedendomi sempre la stessa cosa: alla fine incontrai Tony di persona. Gli chiesi questa cosa e lui mi rispose testuali parole “di’ alla brasiliana di andare a fare in c*** lei e il suo lavoro che non mi interessa niente”. A questo punto Adilma mi rispose che ci avrebbe pensato lei: nei giorni successivi sarebbe andata a Milano a parlare con qualcuno in grado di uccidere Ravasio e che io non ero buono a nulla”.
Il piano diventa esecutivo
Le dichiarazioni di ferretti proseguono e ci si avvicina alla preparazione del piano: ”Dopo un po' di tempo ho parlato anche con Blanco, Dhabi Mohamed, e sono venuto a sapere da lui e anche da Piazza Mirko che lei lo aveva incaricato di cercare qualcuno per uccidere Ravasio, ma la cifra richiesta per lei era troppo alta perché si aggirava tra i 25mila e i 100mila euro. Blanco mi ha detto anche che Adilma aveva insistito, proponendo il pagamento dopo l'uccisione, il tempo di recuperare il denaro, ma nessuno a quelle condizioni voleva procedere. Lei mi ha anche riferito una volta che avrebbe aver risolto tutto: Adilma ha iniziato a parlare al bar anche in mia presenza con Igor, Blanco e poi con tutti gli altri, tranne Oliva. Oliva non è mai stato presente. Non erano proprio incontri programmati: io lavoravo dietro al bancone Piazza Mirko mi aiutava sempre al bar, quindi eravamo già lì. Lavezzo era fidanzato dalla figlia di Adilma ed era spesso al bar anche lui. Anche Blanco veniva al bar molto spesso. Fatto sta che abbiamo parlato diverse volte di Ravasio e lei ci ha detto “dobbiamo simulare un incidente” e che lei non doveva essere presente. L'idea dell'incidente è venuta da lei: all'inizio voleva nessuno voleva accettare. In altre occasioni, molto più vicine al 9 di agosto, avevamo aderito al progetto”.

La telefonata
Ed ecco la ricostruzione, sempre secondo Ferretti, della fase preparatoria del piano con tutti i protagonisti che assumono un ruolo: “Ricordo che poco prima dell'incidente dell'omicidio, Adilma contattò Piazza Mirko chiedendogli di andare a casa sua insieme a me. Io e Piazza siamo andati a casa di Adilma con la mia macchina: una volta arrivati ho visto Trifone fuori dalla casa, in mezzo al prato, a mangiare come un mendicante. In quell'occasione Adilma propose a Mirko di guidare lui la macchina per uccidere Ravasio. Mirko rispose di no. Adilma lo impose dunque a Igor, che accettò. Lei decise che in macchina insieme a Igor doveva esserci anche Trifone, perché doveva guidare la macchina subito dopo il fatto. Trifone, molto agitato, disse che il giorno prima aveva incrociato Ravasio con la bici in strada e che avrebbe potuto investirlo uccidendolo già in quella circostanza. Adilma lo zittì esclamando: “Stai zitto deficiente”. I ruoli sono stati decisi tutti da Adilma. Igor doveva guardare la macchina, Trifone doveva rimanere in macchina con Igor e dopo l'uccisione doveva porsi alla guida. Mirko Piazza doveva fare il palo insieme a Lavezzo; Blanco doveva far finta di stare male per intralciare l'arrivo di un di una possibile autovettura. Del ruolo di Oliva, il meccanico, ho saputo il giorno stesso dell’omicidio: doveva cambiare i fari alla Opel, la macchina che doveva essere utilizzata per l'omicidio. Io ero al bar e dovevo continuare a lavorare normalmente ma dovevo essere reperibile non da chi si trovava a bordo della Opel Corsa, ma dagli altri”.
Il giorno del delitto
Arriviamo così al 9 di agosto: “Poco ore prima del fatto, Mirko Piazza mi contattò per chiedermi di che colore fosse la bicicletta di Ravasio. Io risposi che forse il colore era nero. Dopo di che mi contattò Lavezzo, dicendomi che Ravasio non era ancora passato. Ricordo che mi disse testualmente “la pianta non è ancora passata”. Io risposi semplicemente "Ok, va bene". Blanco mi chiamò anche lui: “A me non mi chiama nessuno. Cosa devo fare?” Io gli risposi: "Vattene a casa". Mirko mi ha chiamato poi quattro volte, ma non ho risposto perché stavo lavorando”. Tutto è ormai successo e si arriva alla sera del 9 agosto: “Verso le ore 21 Mirko è arrivato al bar dicendomi che la macchina, la Opel era distrutta. Mi chiamò diverse volte un carabiniere che voleva parlare con Adilma, ma non riusciva a contattarla. Provai a chiamarla, a chiamare io e a spiegare che i carabinieri la stavano cercando. Andai al pronto soccorso, credo con Blanco, e incontrai Adilma che nel frattempo era andata in ospedale. In quella occasione mi disse di chiamare Oliva per far sparire l'auto. Io lo chiamai e gli chiesi di andare a vedere le condizioni della macchina. Poco dopo, Adilma mi ha inviato un messaggio, dicendomi di dire a Oliva di non distruggere l'auto con il fuoco, ma di lasciarla nel garage”.
Questione di ruoli
A questo punto Ferretti ha voluto riassumere quelle che, sempre nella sua ricostruzione, sarebbero le sue responsabilità: “Ecco le mie responsabilità: sono andato a parlare perché con Adilma, con Tony e gli ho chiesto se conoscesse qualcuno per uccidere Ravasio. Ho partecipato agli incontri in cui Adima progettava l'omicidio attribuendo a ciascuno di noi un ruolo. La sera del fatto ho detto a Piazza che la bicicletta di Ravasio probabilmente era nera, ben consapevole del motivo per cui me lo chiedevano. Circa una settimana prima dell'omicidio, al ritorno da alcune commissioni, mi sono recato insieme a Piazza nel punto dove Ravasio doveva essere investito, anche se poi il luogo dove è accaduto è stato un altro sapevo tutto e non ho fatto nulla per impedirlo”.
“La mente criminale è la sua”
"Preciso e sottolineo che l’ideazione del delitto è stata esclusivamente di Adilma, che è riuscita a coinvolgere nel proprio orrendo piano sette uomini con problemi personali di varia natura, ma praticamente quasi tutti incensurati. È riuscito a coinvolgere anche suo figlio Igor. Quello che ha appena detto è tutta la verità. In qualsiasi momento i giudici lo riterranno, sono disposto a rendere l'esame e a rispondere”. Le dichiarazioni spontanee di ferretti hanno aperto la strada ad altre che verranno ascoltate in occasione dell’udienza del prossimo 7 aprile, inizialmente “tagliata” dalla programmazione e poi di nuovo inserita proprio per dare spazio a questo passaggio: di certo sono già state preannunciate in occasione dell’udienza di lunedì le dichiarazioni spontanee di Mirko Piazza, al momento considerato uno dei “pali” nel piano per uccidere Ravasio, e di Fabio Oliva, il meccanico parabiaghese che ha lavorato sulla Opel Corsa utilizzata per investire Ravasio.