A essere iscritto nel registro degli indagati per rivelazione di segreto d’ufficio è ora un agente della Polizia municipale di Parabiago, che già nei primi interrogatori degli altri complici dell’omicidio – a oggi oltre ad Adilma sono stati arrestati ben sette complici – era stato messo al centro dell’attenzione degli inquirenti con alcune domande. Secondo gli inquirenti sarebbe stato l’agente - anche lui caduto nella rete dei rapporti di conoscenza da sfruttare tessuta dalla donna - a raccontare ad Adilma che il sistema di lettura targhe sistemato nel Comune di Parabiago e collocato sul percorso seguito da Ravasio il 9 agosto (e utilizzato dai suoi carnefici) era fuori servizio ormai da tempo. Resta da capire con quale livello di consapevolezza questa informazione sia stata fornita rispetto a ciò che si stava preparando.
Dopo l’interrogatorio di lunedì l’agente di polizia risulta dunque iscritto nel registro degli indagati. Il nome dell’agente era stato fatto ad almeno due dei complici di Adilma ma in entrambi i casi gli interrogati avevano risposto di non conoscerlo. Va sottolineato che il sistema di lettura targhe fuori uso è risultato inutile ai fini della «copertura» dell’omicidio, perché la Opel Corsa nera con alla guida il figlio di Adilma, Igor Benedito, e al posto passeggero colui che, formalmente, risulta essere il marito della donna, Marcello Trifone, era stata poi intercettata da una telecamera di controllo a Busto Garolfo.
In attesa di comprendere le eventuali responsabilità dell’agente di Polizia locale, inoltre, non è ancora stata ricostruita la paternità dei due ultimi figli di Adilma, i due gemelli di otto anni che sarebbero diventati il “veicolo” per entrare in possesso dell’eredità di Fabio Ravasio. Tra documenti di identità che appaiono essere stati falsificati e il primo cognome portato dai due, vale a dire quello del marito Marcello Trifone, la questione deve ancora trovare una soluzione.