Lodi - "Amo moltissimo il giuoco del calcio, un amore tenace il mio, non un fuoco di paglia. Le mie compagne hanno tanta passione e buona volontà: non tramonteremo mai" prometteva la lodigiana Rosetta Boccalini, nel 1933, intervistata sulla rivista Calcio Illustrato. Invece l’avventura del Gruppo Femminile Calcistico, Gfc, la prima squadra di calcio femminile italiana, dapprima riconosciuta, poi “cancellata“ dal regime fascista, che radunò intorno a sé decine di atlete, durò circa un anno e sparì dagli annali della storia.
Questo fino a quando Federica Seneghini e Marco Giani la riportarono in vita nel libro “Giovinette: le calciatrici che sfidarono il Duce“, presentato anche a Lodi con la ricercatrice Alice Vergnaghi, che ha riscoperto l’intera storia, non solo calcistica, di Giovanna Boccalini e delle sue sorelle, ora diventato uno spettacolo teatrale da tutto esaurito, portato in scena al teatro della Cooperativa di Milano, dalla regista Laura Ciurino, con le poliedriche, infaticabili e ‘simil’ giovanissime attrici Federica Fabiani, Rossana Mola, Rita Pelusio.
Uno spettacolo che ora alcune associazioni vorrebbero portare a Lodi, perché dice tanto non solo delle sorelle Luisa, Marta e Rosetta, che scesero in campo, e di Giovanna, che non poteva giocare perchè già sposata, e svolse il ruolo di commissaria della squadra (in seguito fu partigiana, cofondatrice di ‘Noi donne’, assessora a Milano, vicepresidente nazionale Inps), ma anche dello ‘zio Etttore’, come le Boccalini chiamavano Archinti, l’ex sindaco socialista di Lodi successivamente deportato e morto a Flossenburg.
Pur mantenendo un tono frizzante, per sottolineare come le calciatrici fossero solo delle giovanissime animate dalla passione per il calcio, lo spettacolo teatrale ricorda anche il primo eccidio fascista al teatro Gaffurio di Lodi, e il confino cui fu costretto il marito di Giovanna. Applauditissime dal pubblico, tra cui anche alcuni discendenti delle sorelle Boccalini, le tre ‘calciAttrici’, partendo da una panchina nel parco di Porta Venezia a Milano, decidono di giocare a calcio, nei campi del Dopolavoro (la sede è dal vinaio Ugo Cardosi).
Scrivono ai giornali e al Fascio e ottengono di poter giocare, anche se a porte chiuse e con la gonna, dopo una visita ginecologica per accertare che le pallonate non compromettano la loro funzione "riproduttrice". Ma quando cambia il gerarca al vertice del Coni l’attesa partita in trasferta contro l’Alessandria non si giocherà mai.