PAOLA ARENSI
Cronaca

Covid a Codogno, il ricordo di cinque anni fa: “Quelle notti senza respiro e le perdite che fatichiamo a dimenticare”

La testimonianza della consigliera comunale Rosanna Montani che era stata, col marito, tra i tanti malati in città

Rosanna Montani e il marito erano stati ricoverati perché colpiti dal virus

Rosanna Montani e il marito erano stati ricoverati perché colpiti dal virus

Codogno (Lodi), 21 febbraio 2025 - Rosanna Montani, consigliera comunale di Codogno ai tempi della pandemia e anche oggi, è stata, con il marito, tra i malati di Covid che hanno superato la mancanza di ossigeno provocata dal terribile virus. Ma il ricordo “il mio, uno dei tanti”, sottolinea, è ancora vivo e doloroso.

“Nonostante siano passati 5 anni, ho nella mente immagini molto vivide, che rimarranno sempre con me, a partire dal 4 Marzo, quando l'ambulanza ha portato via me e mio marito, perché ci eravamo sentiti male. Quindi ricordo la paura, la preoccupazione e lo sguardo di nostra figlia unica, che vedeva portar via entrambi i genitori in ambulanza (molti non tornavano più ndr)” introduce.

“Ricordo che non sapevano dove portarci, perché gli ospedali del territorio erano già tutti pieni e quindi ci hanno portato al nosocomio di Stradella e ci hanno messi insieme in una stanzetta. Poi, fatti gli esami, ci hanno confermato che eravamo entrambi contagiati. Io sono stata dimessa in giornata, perché a dir loro, in condizioni di essere curata a domicilio, nonostante mi mancasse il fiato, invece mio marito aveva una polmonite bilaterale compromessa e l'hanno trattenuto” chiarisce.

“Ricordo dei particolari che sembrano assurdi, come il fatto che non sapevano come farmi rincasare, perché solo Codogno era zona rossa. Hanno chiamato un servizio con ambulanza, per cui ho dovuto pagare il trasporto. E io non sapevo come fare a recuperare i soldi, perché non avevo con me niente. Ricordo i giorni in isolamento in casa, dove mia figlia ha fatto da assistente- infermiera -badante, con tanta dedizione tanta e preoccupazione e ricordo l'abbandono delle istituzioni sanitarie: numeri che non rispondevano o rimbalzavano. Se non ci fosse stata il mio medico di base di allora, Olivia Zanaletti, nessuno si sarebbe preso cura di me. Seppur la dottoressa avesse pochissimi dispositivi di protezione disponibili”.

Il ricordo parla quindi di solitudine da un lato, di paura nel non riuscire ad avere informazioni sul marito dall’altro. Consorte che, solo tempo dopo, Montani ha potuto sentire, perché l’uomo ha trovato la forza di parlare al telefono. Ma nel cuore resta anche la solidarietà ricevuta:”Tanti cittadini si informavano su di me, i miei fratelli da Lodi arrivavano al check point di Codogno o all’ospedale di Stradella, per portare quello che ci mancava, un amico carissimo di Lodi ha procurato le mascherine, perché qua non si trovano, un altro conoscente delle pompe funebri mi aggiornava, aimé, sui decessi. E lo sconforto per le perdite di molte persone care continuava a crescere” testimonia ancora.

“Il peggio sono state la lontananza da mia mamma, cui non abbiamo detto tutto, perché era fragile e lontana, le notti con mancanza di respiro, che sembravano interminabili, con il buio che acutizzava il silenzio. Ricordo sofferenza, solitudine e paura di concittadini che mi chiedevano aiuto per capire come muoversi nel marasma che è stato la gestione dell’emergenza, da parte di Regione Lombardia. Ero indignata, per come venivano gestite tante cose a livello sanitario, senza informazioni, con gente allo sbaraglio, lasciata a sé stessa. E anche la tipologia di informazione, propinata con conferenze stampa televisive assurde, proprio non mi andava giù”.

La gioia, dopo 2 settimane dal ricovero del marito, è arrivata nel riuscire finalmente a sentirlo al telefono e sapere delle sue dimissioni, con richiesta di ulteriore isolamento e “di tampone da parte mia per motivi di sicurezza- spiega-. Ho dovuto farlo a Melegnano, perché qui non c’era possibilità- ricorda-C’è stato un importante risvegliarsi della città, della solidarietà, di gesti semplici ma preziosi, anche dei vicini di casa. Vivevamo la sensazione di qualcosa di ineluttabile, spaventoso, più grande di noi e oscuro, che determinava la vita delle famiglie, della città, di tutti noi”.

Resta la riconoscenza per chi non ha abbandonato gli altri: “La parte terribile è stata la perdita di tante persone care e sole che, anche nei momenti più terribili, non hanno potuto avere nessuno vicino. C’era la disponibilità del parroco ad accogliere i defunti in chiesa. E spezzava il cuore anche il sapere gli anziani e i fragili soli nelle strutture, senza che nessuno potesse raggiungerli e disorientati. Io ho molto chiaro, comunque, le responsabilità di chi non ha agito come doveva e invece l’impegno di chi ha fatto il massimo”. Paola Arensi