
di Paola Arensi
"Vi prego, fateci tornare a relazionarci a scuola!". L’appello arriva, tramite una lettera indirizzata al nostro giornale da una studentessa di 18 anni, Alice Polledri (nella foto), codognese che frequenta l’Istituto di istruzione superiore di Codogno (classe quinta dell’istituto tecnico economico). E testimonia, in modo diretto, l’esperienza della didattica a distanza, molto utile all’epoca del Covid ma destabilizzante per gli adolescenti. "Da quel maledetto 21 febbraio, mi ritrovo ogni giorno chiusa nella mia camera, dietro un computer, ad ascoltare a ruota delle lezioni che mi sembrano non finire mai. E mi sento di vivere giorni vuoti, senza obiettivi, talvolta fallimentari" racconta. "Guardo fuori dalla finestra e mi chiedo perché sono ancora lì, perché non sono a manifestare per i miei diritti, o perché non sono in viaggio a scoprire e esplorare, uno dei modi migliori per istruirsi dal punto di vista socio-culturale – continua -.Poi però torno coi piedi per terra e mi ricordo che siamo in una pandemia globale. Prendo coraggio e mi dico che prima o poi la situazione finirà".
Il tam tam delle riaperture in regione dopo il periodo natalizio ha poi molto disorientato e scontentato gli studenti: "La situazione sembra irrisolvibile. La sera del 5 gennaio scopriamo di tornare il 7. Meno di 48 ore di preavviso. Poi però è slittato tutto di nuovo e gli studenti che avevano già acquistato abbonamenti e biglietti vari, sono stati costretti a chiedere rimborsi. Ragazzi che, come me, non vedevano l’ora di sedersi sul proprio banco, hanno invece visto tutte le loro speranze sgretolarsi". "A mio parere – l’affondo della 18enne – questo è un esempio chiaro di come le istituzioni si stiano prendendo gioco di noi giovani. Siamo gli stessi giovani che tra qualche anno si immetteranno nel mondo del lavoro, che avranno il compito di far funzionare economia e società, che pagheranno le pensioni a tutte le fasce che oggigiorno non credono in noi. Per me scuola non significa solo istruirsi, ma anche relazionarsi. Scuola significa confronto, dibattiti, prendere posizioni, imparare ad ascoltare, scambiare idee e sapersi organizzare. Sfortunatamente in pochi hanno riconosciuto in questo periodo di “dad“ l’importanza di queste piccole cose, che aiutano a crescere sia come studenti che come persone".
La didattica a distanza, per Alice Polledri, è stata sicuramente uno strumento utile e efficace a inizio pandemia, ma "dopo dieci mesi credo che tutti noi saremmo già potuti essere seduti sul nostro banco ad avere l’ansia per un’interrogazione o ad essere fieri di noi stessi per un bel voto. Questo se le istituzioni avessero creduto profondamente in noi. Ma non lo siamo. E forse questo avviene perché oggettivamente risulta più facile chiudere le scuole che battersi per tenerle aperte e investire sui problemi, quali trasporti, ingressi scaglionati, collegati!". "Gli unici a pagare queste scelte siamo noi – conclude –, anche se alcuni non se ne rendono conto. Siamo presi in considerazione solo come parte integrante della società di massa: ove è possibile, i negozi sono pronti ad aspettare la nostra voglia di shopping compulsivo, i bar ci attendono per un caffè o un aperitivo, i ristoranti per un pranzo tra amici. Però noi giovani siamo molto di più che piccoli consumatori. Per favore ridateci la scuola, perché tra alcuni anni, quando il covid sarà sconfitto, il virus con cui dovremo combattere sarà l’ignoranza. E per quello non esiste cura. E per quello non esiste vaccino".