
FERITE Antonio Rinaldi uno dei quattro precipitati
San Rocco al Porto (Lodi), 29 aprile 2019 - «Dopo 10 anni il crollo del ponte sul Po per me resta un incubo. Ci ripenso continuamente. Ma vedo che succede sempre la stessa cosa, a Genova dopo il crollo del Morandi, o nei luoghi colpiti dai terremoti: al momento se ne parla tanto, si alza un’onda di emozione, poi la gente viene lasciata sola, magari a vivere, dove la terra ha tremato, ancora nelle baracche. L’Italia è il paese delle grandi parole ma alla fine non si fa niente». È pieno di amarezza Antonio Rinaldi, uno dei quattro automobilisti precipitati con la propria auto quando, il 30 aprile del 2009, attorno alle 12.30, alcune pile del ponte, col fiume in piena, avevano ceduto, trasformando parte del viadotto di collegamento tra San Rocco al Porto e Piacenza in uno scivolo abissale che puntava dritto nell’area golenale invasa dall’acqua.
«Non c'è stata alcuna condanna nei confronti dei cinque imputati, anzi è stato detto in Tribunale che il “fatto non sussiste”, come se il ponte non fosse caduto e fossi stato io a buttarmi giù - prosegue Rinaldi -. In questi dieci anni la presenza delle istituzioni è sempre mancata, infatti nessuna di loro ricorda questo anniversario, ci hanno lasciato sempre più soli». Ma la vita di Rinaldi, che era macchinista di Trenitalia, dieci anni fa è deragliata, senza possibilità di tornare sui propri binari: ha infatti riportato una lesione alla spina dorsale che lo ha reso parzialmente invalido. Per questo motivo è stato trasferito in un ufficio.
Ancora oggi ha dolori e conseguenze: «Sono in attesa di una chiamata dall’ospedale perché ho problemi di acufeni dovuti all’incidente: in pratica ho dei ronzii in testa, in alcuni momenti perdo l’equilibrio, ho dei capogiri, rischio di cadere. Eppure i risarcimenti sono stati minimi, solo acconti che non hanno coperto le spese sostenute: mi è stato detto che non ho perso niente perché ho mantenuto il mio lavoro in ferrovia. Anche se proprio in questo periodo ho temuto che trasferissero gli uffici a Parma e io non posso viaggiare. Ho tre figli che volevo far studiare ma mi è stato detto che non era necessario che andassero all’università. Non ho potuto aiutarli economicamente, anche mia moglie ha avuto problemi di salute, ma si sono pagati da soli le spese: la mia primogenita ha ottenuto una laurea magistrale in scienze delle formazione con 110 e lode; gli altri due studiano ancora all’università e all’Itis».
Ora, dopo Genova, la Provincia di Lodi ha stanziato 400 mila euro per monitorare i viadotti: «Dovrebbe essere una cosa normale, non straordinaria. Il mio appello è perché lo Stato non lasci sole le vittime: ancora oggi io faccio fatica ad attraversare quel ponte».