PAOLA ARENSI
Cronaca

Codogno, cinque anni dopo. “Io e mio marito contagiati dal Covid e portati in ospedale, un trauma che non mi abbandona più”

La consigliera comunale Rosanna Montani ripercorre quei tragici giorni del 2020: “Ricordo le notti col respiro che mi mancava, mia figlia che si prendeva cura di me e di mio marito

La consigliera comunale Rosanna Montani

La consigliera comunale Rosanna Montani

Codogno (Lodi), 22 febbraio 2025 – "Ricordo le notti con la mancanza del respiro, sembravano interminabili. Con il buio che acutizzava il silenzio. Ricordo sofferenza, solitudine e paura di concittadini che mi chiedevano aiuto per capire come muoversi nel marasma che c’era. Ero indignata, per come venivano gestite tante cose a livello sanitario, senza informazioni, con gente allo sbaraglio, lasciata a sé stessa. E anche la tipologia di informazione, propinata con conferenze stampa televisive assurde, proprio non mi andava giù". È la testimonianza, a cinque anni dallo scoppio della pandemia, di Rosanna Montani, consigliera comunale di Codogno che è stata, con il marito, tra i tanti malati di Covid che hanno superato la mancanza di ossigeno provocata dal terribile virus.

Sirene sotto casa

"Il 4 marzo l’ambulanza ci ha portati via perché stavamo male. Ricordo lo sguardo di nostra figlia unica, che salutava entrambi i genitori in ambulanza (molti non tornavano più, ndr)". Con gli ospedali saturi, non sapevano dove portarci, poi siamo arrivati a Stradella, in una stanzetta. Eseguiti gli esami, ci hanno confermato che eravamo entrambi contagiati. Io sono stata dimessa in giornata, perché a dir loro, in condizioni di essere curata a domicilio, nonostante mi mancasse il fiato, invece mio marito aveva una polmonite bilaterale compromessa e l’hanno trattenuto. Non avevo soldi con me, ma li volevano a prescindere, per portarmi a casa".

Il calvario

Al domicilio altro calvario: "Mia figlia si occupava di me. Ricordo l’abbandono delle istituzioni sanitarie: numeri che non rispondevano o rimbalzavano. Se non ci fosse stata il mio medico di base di allora, Olivia Zanaletti, nessuno mi avrebbe seguita. Seppur la dottoressa avesse pochissimi dispositivi di protezione disponibili". Poi i pensieri: "Due settimane senza sentire mio marito, che nemmeno riusciva a parlare, poi dimesso all’improvviso, ma ancora in isolamento, i familiari lontani che ci portavano il necessario al check point o in ospedale, la mamma ignara di tutto da rassicurare, il tragico bollettino giornaliero dei morti, spesso cari. Gente che mi chiamava disperata perché lasciata allo sbando. La disponibilità del parroco ad accogliere i defunti in chiesa. E spezzava il cuore anche il sapere gli anziani e i fragili soli nelle strutture, senza che nessuno potesse raggiungerli e disorientati".