PAOLA ARENSI
Cronaca

Frecciarossa deragliato, il medico: "Quegli occhi sgomenti chiedevano: perché?"

Carla Agosti, il primo medico del 118 ad arrivare fra i morti e i feriti: "Tutti spaventati e increduli, ma disciplinati e dignitosi"

Il treno deragliato a Livraga, nel riquadro la dottoressa Carla Agosti

Il treno deragliato a Livraga, nel riquadro la dottoressa Carla Agosti

Livraga (Lodi), 10 febbraio 2020 - Carla Agosti vive a Piacenza, ha 62 anni è il suo mestiere è fare il medico rianimatore anestesista, nella squadra del 118 di Lodi. È lei il dottore che giovedì all’alba è arrivato per primo sulla scena del disastro del Frecciarossa. Un turno di notte complicato che si è concluso solo in tarda mattinata con la tristezza nel cuore.

Dottoressa Agosti, le era mai capitato? "In 18 anni di servizi per il 118 era la prima volta che mi trovavo di fronte fisicamente a una maxi emergenza tanto drammatica e quello che ho letto negli occhi dei sopravvissuti era il riflesso del terrore che stavano provando, non lo dimenticherò mai", spiega la professionista. Intanto all’ospedale Maggiore di Lodi il direttore sanitario Gabriele Perotti organizzava l’accoglienza dei pazienti. E l’emergenza"

Cosa ha visto al primo impatto, arrivata a Livraga? " La scena drammatica delle carrozze e gli occhi delle persone che in silenzio, dopo essersi aiutate tra loro, camminavano lentamente fuori dal treno, sgomente, spaventate, incredule nel buio e al freddo. Abbiamo trovato i macchinisti senza vita. E dopo aver valutato le priorità, ho letto in tanti occhi la domanda ‘perché’ . Molti dicevano ‘Io sto bene voglio andare a casa’ ma, essendo aperta campagna, hanno dovuto aspettare . C’erano ragazzi che volevano riabbracciare la fidanzata, donne partite al mattino per andare a lavorare che chiamavano i figli. Abbiamo cercato di dare anche apporto concreto, un sostegno psicologico e umano e di avvolgerli in metalline riscaldanti, perché lì a quell’ora si gelava".

Si sono comportati tutti in modo collaborativo? "Sono stati tutti dignitosi, bravi. Eravamo congelati. Sapevano che il loro dramma era inferiore a quello delle vittime. Stavano in disparte ad aspettare, con rispetto. Indifesi, dipendevano dalle nostre parole e cercavano protezione".

Non sarà stato facile restare freddi e distaccati... "Il mio autocontrollo lo devo a tanti anni di lavoro in sala operatoria. Decisamente una buona palestra. Nell’urgenza serve lucidità. Se non sai fare una cosa devi passare subito alla manovra successiva".

Ricordo, anni fa, le maxi esercitazioni lungo la Tav poco prima dell’inaugurazione: eravate allenati... "L’esercitazione è una cosa, fatti come questi sono tutt’altro. Nella realtà non sai davvero a cosa vai in contro. Io avevo lavorato anche per la maxiemergenza del 30 aprile 2009, quando crollò il ponte di Po a San Rocco al Porto, con diversi feriti, ma ero rimasta in centrale operativa e non ero andata sul posto. Il nostro è un lavoro che richiede notevole forza d’animo. Sei un punto di riferimento per le persone a cui presti soccorso e bisogna sempre ricordarlo".

La rete dei soccorsi ha funzionato? "Sorprendente è come in una maxi emergenza si intreccino le capacità di tante reti operative e volontari ben formati. Si è dimostrato un lavoro di équipe notevole gestito in modo professionale. Ci ha seguiti molto bene la centrale operativa Soreu della pianura. La vita ha un valore inestimabile e quando torni da questi eventi, per fortuna rari, apprezzi ogni piccola cosa. E se sai di aver strappato un sorriso a qualcuno anche in momenti terribili, puoi andare avanti".