Altra udienza, ieri in tribunale a Lodi, del processo per il deragliamento del Frecciarossa 9595 avvenuto a Livraga il 6 febbraio 2020. La difesa dei cinque imputati di questo rito ordinario (due manutentori di Rfi sono già stati condannati, in abbreviato, a 3 anni di reclusione), ossia un dirigente di Rfi e quattro tra manager, tecnici e operai di Alstom Ferroviaria accusati di disastro ferroviario colposo e duplice omicidio colposo hanno svolto il controesame a Fabrizio D’Errico, professore del Politecnico di Milano, e all’ingegner Roberto Lucani, esperti di lungo corso nelle indagini ferroviarie e che, in qualità di consulenti della pm Giulia Aragno, nelle precedente udienza del 22 ottobre, avevano illustrato la loro relazione tecnica sul deragliamento del Frecciarossa, con particolare attenzione al deviatoio difettoso che ha causato l’incidente.
Le prime domande della difesa si sono concentrate sul lavoro degli operai RFI nell’installazione del deviatoio, lavoro fatto nelle primissime ore del 6 febbraio: il deviatoio, infatti, aveva segnalato problemi, in particolare per l’alimentazione e la sua posizione. L’avvocato ha domandato se gli operai avessero fatto tutti i controlli possibili, in particolare se il caposquadra degli installatori, tornando di persona nel luogo in cui era stato installato il deviatoio poco prima, avrebbe potuto notare l’errore dello stesso. Al quesito i due testi hanno risposto positivamente, aggiungendo però che non c’è una norma precisa e che "in ferrovia tutto va esplicitato, nulla è da lasciare al caso", ha spiegato in particolare D’Errico. La difesa degli uomini di Alstom ha cercato poi di capire se l’errore fosse stato degli operatori Rfi che avevano installato il deviatoio e che avrebbero sottovalutato gli indizi dello stesso (il caposquadra installatore è uno dei due già condannati in rito abbreviato). I due consulenti hanno spiegato che non vi erano abbastanza dati per avere la certezza che l’errore fosse nel deviatoio. "Tuttavia - è stato ribadito dai consulenti–, gli operai erano lì non per collaudare il pezzo, ma solo per installarlo, quello che avevano era un pezzo già collaudato". Sul sistema di controlli in Alstom è stata battaglia. "L’azienda ha fondato tutta la sua sicurezza relativa al prodotto all’esito del banco di collaudo, ma questo non poteva notare il problema di cablaggio causa dell’incidente" ha sottolineato D’Errico. "Per 20 anni – ha ribattuto la difesa – la procedura di collaudo è sempre stata la stessa e problemi come questi non sono mai accaduti, la barriera di controllo era la cura visiva". "È un errore latente – ha replicato a sua volta il docente –, che nel giorno di questo incidente ha causato il disastro, con la morte dei due macchinisti (Giuseppe Cicciù e Mario Di Cuonzo, ndr)". Il processo continuerà martedì 19 novembre, con l’ascolto di altri testi. Luca Pacchiarini