Livraga (Lodi), 6 febbraio 2022 - Una tragedia inimmaginabile. All'alba del 6 febbraio di due anni fa nessuno riusciva a credere a quelle immagini drammatiche che arrivavano dai binari dell'alta velocità a una manciata di chilometri da Lodi. Il Frecciarossa 9595 partito da Milano alle 5.10 di quella mattina con direzione Salerno era deragliato alle 5.34 per un binario rimasto aperto allo scambio all'altezza di Livraga, nel Lodigiano. Il treno era stata scagliato come un missile nel buio dei campi. Un incidente che non ha lasciato scampo ai due macchinisti Mario Dicuonzo, 59 anni, e Giuseppe Cicciù, 51 anni, che quella mattina erano alla guida del treno, un'eccellenza della tecnologia italiana, prima che la motrice, e anche prima carrozza, del 9595 si schiantasse, disintegrandosi, contro le strutture in cemento armato di un deposito FS.
Una decina (sui 31 presenti in totale) i feriti tra passeggeri e personale in servizio. Un disastro, il primo per l’alta velocità in Europa, su cui la Procura di Lodi ha chiesto il rinvio a giudizio per 15 persone, tra cui i vertici di Rfi, Alstom Ferroviaria e 5 operai di Rfi con le accuse di disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Per la Procura di Lodi le cause principali del deragliamento sono tre: l’attuatore del deviatoio del binario "difettoso" prodotto da Alstom Ferroviaria, la scarsa formazione dei manutentori di Rfi in materia di prove di concordanza e soprattutto "l’assenza a livello nazionale di sistemi automatici di controllo per verificare il corretto funzionamento delle logiche d’impianto".
Ma in attesa del prosieguo della vicenda giudiziaria, resta ancora vivo il ricordo dei due macchinisti. Una vita sui treni fatta di riposi saltati, di fatica e sacrifici. È indelebile il ricordo dei colleghi di Mario Dicuonzo (suo figlio Federico sta seguendo le orme del padre e da circa un anno ha iniziato a lavorare per Trenitalia) e Giuseppe Cicciù (oggi letteralmente invaso di messaggi di ricordo sulla sua pagina social gestita dalla famiglia). Esistono date spartiacque nella vita di una persona.
Quella di Alex Nuvoli, 30 anni, di Zelo Buon Persico (Lodi), è sicuramente il 6 febbraio 2020. Quel giorno si trovava sul Frecciarossa 9595. Nuvoli, diretto a Roma, si trovava sulla carrozza 2 del treno deragliato. Tanta paura per il 30enne, costretto a sfondare il finestrino per uscire dal treno, che era riuscito a cavarsela con diversi traumi contusivi multipli e soprattutto un disturbo da stress post traumatico. "Sono cose difficili da spiegare - racconta il 30enne -. Descriverla è complicato. Sono sensazioni che ho vissuto. Il treno è deragliato ad alta velocità. C'è stato un vuoto d'aria. Per fortuna sono qui a raccontarlo perché poco distante da dove ero seduto io, i due macchinisti hanno perso la vita. Io sono vivo".
Due anni dopo per Nuvoli la tragedia non è finita. "Dentro di me è rimasta una cicatrice - dice il superstite della tragedia -. Per me un semplice vuoto d'aria, provocato da un aereo in quota o altro, è sinonimo di terrore. E' una sensazione che prima dell'incidente non avevo e con cui ora sono costretto a convivere". Ancora oggi sta portando avanti una causa civile per chiedere un risarcimento a Trenitalia. "Da Trenitalia o Ferrovie dello Stato non ho ricevuto nessun contatto in due anni. Sono stato trascinato in una causa civile per poter chiedere il riconoscimento di un danno che ho subito. E' una cosa che mai avrei voluto fare perché pagare un avvocato e affrontare le spese legali non è semplice". Il giovane non nasconde di sentirsi oggi abbandonato.
"Dal 6 febbraio di due anni fa la mia vita in un certo senso è cambiata. Avrei sicuramente preferito avere una maggiore vicinanza da parte delle aziende. Mi sono dovuto comprare anche le chiavi di casa. Nessuno mi ha rimborsato nulla. Quasi come se avessi scelto io di essere su quel treno deragliato. Non è una cosa accettabile". Restano ancora oggi le battaglie sindacali. Il disastro del Frecciarossa ha fatto emergere una serie di "falle" che la magistratura è determinata ad affrontare. Intanto però l'attenzione dei lavoratori è altissima. Secondo il sindacato Orsa Ferrovie, poco sarebbe cambiato rispetto al 6 febbraio 2020. "A due anni dalla tragedia che ha portato via Giuseppe e Mario non abbiamo evidenza di nuove procedure o nuove tecnologiche che riducano ulteriormente il rischio che ciò che é avvenuto a Livraga non possa ripetersi - spiega il segretario generale aggiunto di Orsa Ferrovie, Michele Formisano -. Abbiamo chiesto che tutte le prove di concordanza fossero videoregistrate con chiara firma “spazio-temporale”. Cioè che ci fosse prova, registrata e trasmessa, del corretto funzionamento di ogni scambio ferroviario dopo che questo sia manutenuto e rimesso in servizio. Altro ci sarebbe da fare e proporre ma ciò che stranisce e che da due anni i tavoli tecnici per mitigare questi rischi non hanno coinvolto il sindacato".