LUCA RAIMONDI COMINESI
Cronaca

Incidente aereo fatale, il papà di Silvia Bianchini non cede: chiedo giustizia da 15 anni

Lodi, l’ultraleggero finì nell’Adda il 5 aprile 2010: la sedicenne e il pilota non ebbero scampo. Da allora una lunga battaglia legale tempestata anche dai sensi di colpa

In alto: (nelle due immagini accanto) morta il 5 aprile 2010 in un incidente aereo

In alto: (nelle due immagini accanto) morta il 5 aprile 2010 in un incidente aereo

Lodi – Chiedono ancora giustizia i parenti di Silvia Bianchini, la sedicenne che il 5 aprile 2010 perse la vita durante il suo primo volo su un aereo ultraleggero. Il velivolo, partito dal campo di Cornegliano Laudense, era caduto nell’Adda dopo aver centrato dei cavi ad alta tensione. Nell’incidente morì anche il pilota Giacomo Andena, 62 anni.

Un lungo calvario che dura da più di 15 anni, segnato da lacrime, tormenti e ferite insanabili, che non potranno mai rimarginarsi. E che non pare destinato ad avere sviluppi diversi, per ora. Un percorso tempestato anche dai sensi di colpa e da un complesso avvicendamento giudiziario. Per questo motivo Fabrizio e Pietro Bianchini (padre e zio della giovane) hanno scelto ieri di protestare pacificamente di fronte al Tribunale di Lodi. Un sit-in per esporre alcuni cartelli coi quali sollecitano la richiesta di giustizia.

Fabrizio e Pietro non hanno mai ottenuto un risarcimento da parte della donna romena ereditiera del patrimonio di Andena. Ma non si riferiscono solamente al risarcimento (mancato a causa della scelta del magistrato di non bloccare i conti della donna romena), quello che più “brucia” è una frase pronunciata dal giudice che avrebbe detto al padre durante una delle tante udienze: “Signor Bianchini, cosa vuole guadagnarci da questo fatto? Del resto, sua figlia ce l’ha messa lei a bordo del velivolo”.

“Non porto rancore – spiega Fabrizio – ma protesto per una giustizia migliore. La donna ha trasferito l’intero patrimonio in Lussemburgo su autorizzazione del giudice e noi siamo rimasti a bocca asciutta”. Nel 2021, l’ultima sentenza ha dato ragione ai familiari della sedicenne, “ma senza possibilità di ottenere quel maledetto denaro che ci spetta per legge – conclude il padre – a causa del fatto che non era stato autorizzato il sequestro cautelativo dei beni”.

La loro voce trema di commozione mentre parlano di Silvia. “Per l’età che aveva, per i suoi ragionamenti e nell’amore che aveva per il prossimo, mia figlia era una persona adulta – racconta Fabrizio –. Quel 5 aprile è stato il giorno più difficile e bello della nostra vita. Sembra un paradosso, ma io ho visto mia figlia felice e serena, aveva un sorriso come se mi stesse ringraziando”. Si affida alla fede Fabrizio che spera, un giorno, di poter rivedere sua figlia, felice e serena come quel tragico 5 aprile quando il suo sorriso si è spento in un campo di Cornegliano Laudense.