Storia di un testamento con relativa eredità che, pur non facendo litigare i successori, si dimostra impossibile da mettere in pratica. Perché il testamento lascia dei beni a certe condizioni che uno di loro ritiene impossibile da assecondare.
Siamo nel 2016 quando viene a mancare una novantenne, che in vita ha lavorato e dimorato a Milano ma che poi, una volta in pensione, si è trasferita a Sergnano. Nella sua vita era benestante. Ha però avuto varie sfortune, tra cui quella di perdere l’unica figlia nel fiore degli anni e poi, una volta trasferita a Sergnano, restare ben presto vedova e quindi sola.
Avendo una disponibilità di un paio di milioni di euro, prima di morire l’anziana ha pensato bene di distribuire tutto tra le persone a lei più care e di predisporre un lascito anche al Comune. A quest’ultimo la donna ha regalato due case, dove lei ha dimorato, unite tra loro da uno stretto giardino, nelle quali era suo desiderio ricavare una piccola Rsa che potesse ospitare quattro persone anziane. Unico vincolo, intitolare la casa nel nome della figlia. Nessun erede diretto, nessuna contestazione.
Quando il Comune viene a conoscenza del lascito e della volontà della defunta, si mette in pista per cercare di capire come ottemperare al suo desiderio. E si scontra subito con gravi difficoltà. La prima: per ricavare una piccola Rsa da queste due case sono necessari lavori onerosi, come quello di montare un ascensore, per esempio, visto che l’appartamento è disposto su tre piani. La seconda: una volta attrezzata allo scopo, mantenere l’Rsa costa davvero parecchio e le eventuali entrate degli ospiti non coprirebbero neppure lontanamente le spese di manutenzione. La terza: mettendo tutto a posto e poi donandola ad altri istituti per la gestione, ci si è scontrati con un no. "Grazie ma non ci pensiamo proprio". Quindi il Comune sta per rinunciare all’eredità. Però ci sarebbe anche un altro particolare: a chi deve lasciare le case a lui destinate se non ci sono eredi legittimi? Un bel problema.
Pier Giorgio Ruggeri