"Io, medico senza 12 anni di ricordi". La sua storia diventerà una fiction

Codogno, il primario Pierdante Piccioni racconta l’amnesia e la rinascita di VALENTINA BERTUCCIO D'ANGELO

Pierdante Piccioni, 55 anni (Gazzola)

Pierdante Piccioni, 55 anni (Gazzola)

Codogno (Lodi), 23 aprile 2016 - Con Pierdante Piccioni, la vita ha superato la fantasia in un viaggio di andata e ritorno che, come merita, approderà in tv. Dovrebbe succedere nel 2017, «una fiction di due puntate su Raiuno». Ma ciò che è accaduto al medico 55enne, cremonese di nascita, residente a Pavia e primario al pronto soccorso di Codogno dal primo febbraio 2015, non è frutto del buon lavoro di uno sceneggiatore. ‘Pier’ ha davvero perso la memoria in un incidente sulla tangenziale di Pavia, il 31 maggio 2013 e si è davvero svegliato dal coma, sei ore dopo, convinto di essere nel 2001: la moglie Assunta e i figli Filippo e Tommaso come estranei, cresciuti, irriconoscibili. Un anno di tormenti e pensieri terribili – "lo ammetto, ho pensato di farla finita" –, poi nel 2014 l’inizio della risalita e il terzo capitolo della vita del medico: la rinascita. Che ha portato anche un libro, ‘Meno dodici. Perdere la memoria e riconquistarla: la mia lotta per ricostruire gli anni e la vita che ho dimenticato’ (Mondadori), scritto insieme al giornalista Pierangelo Sapegno, uscito a febbraio e presentato l’altra sera a Codogno.

"Il libro è il romanzo della mia storia, sia nello sprofondare sia nel risorgere. È il mio outing. Le persone mi dicevano che erano imbarazzate e non sapevano cosa dirmi. Ecco, nel libro ho rappresentato i miei fantasmi, spiegato chi sono, è un modo per dire “io sono questo qui, se vuoi interagire con me leggi le miei emozioni”». E già diecimila persone stanno scoprendo come si può vivere con dodici anni in meno di ricordi nella testa e, comunque, ricominciare come e meglio di prima. "Mi stanno scrivendo in molti – racconta il primario –. Una donna di Biella ha perso vent’anni di memoria, il marito ha letto il libro e finalmente ha capito cosa provava. Mi piace questo valore terapico del mio libro".

Oggi Piccioni sta "molto bene, non potrei dirle di meno". La lesione al cervello resta, i ricordi non sono mai tornati, ma la vita di prima, in corsia, quella sì. "Ho scelto, insieme alla mia azienda, di non lavorare più al pronto soccorso di Lodi perché lì tutti mi conoscono ma io non riconosco più nessuno. A Codogno ho potuto ricominciare da capo e ora sono un medico diverso. Essendo stato paziente, ragiono prima da paziente, c’è più empatia. I pazienti mi dicono 'so che lei mi capisce'". Non è stato per nulla facile, "ma fare il medico è la mia passione. Ecco, ‘passione’ è la parola chiave della mia storia". Per un anno e mezzo ha studiato 6, 8 ore al giorno: "Sapevo fare il mio lavoro, ma dovevo aggiornarmi: medicinali nuovi, tecniche nuove. Ho fatto due mesi al centro antiveleni di Pavia per conoscere le ultime droghe. Ero come tornato specializzando, solo che a insegnare c’erano colleghi a cui io avevo insegnato. Ed erano imbarazzati".

Il dottor Piccioni fa anche una full immersion di tecnologia, Internet, mail, Google, WhatsApp e torna a lavorare ma a tornare non è la stessa persona: "Non sono più il Pier che si è addormentato nel 2001. Alcuni miei collaboratori scherzano: “Avessimo saputo che sarebbe venuto fuori così, gliel’avremmo data noi una botta in testa”. Prima ero più ‘capo’, teutonico, ora privilegio il rapporto con le persone". Non è stato, il suo, un percorso facile: "All’inizio rifiutavo i miei figli cresciuti, che io chiamavo il Serpente e il Gorilla per come si muovevano. Rivolevo i miei bambini. Mia madre era morta, mio padre è morto all’inizio del 2014, avevo anche perso la fede, mi chiedevo “perché io?”. Mi hanno aiutato le persone di cui potevo fidarmi, a partire da mia moglie. Piano piano anche in famiglia si sono ristabiliti i ruoli: non sono più il papà tonto, che non capiva nulla. Ora sono tornato a fare il padre".