Maietti
Nello squadrone oratoriano di Costaverde portavo il numero dieci come Rivera. Abatino peggio di lui. Capita una livida domenica di febbraio del 1958 che andiamo in trasferta a Caselle Lurani contro la squadra di Giovanni Lodetti, futuro terzo polmone di Rivera. L’acquerugiola batte insistente. Ai margini del campo decine di ombrelli osannanti al beniamino Lodetti e frementi oscure minacce nei nostri confronti. Noi stiamo ammucchiati più del Padova di Rocco. ll terreno fradicio esalta le virtù muscolari della nostra difesa fatta di fieri magutti di piede rozzo ma di grande cuore. Mi accettano in squadra perché sono l’unico ad avere sensibilità di piede. La sola palla giocabile nel primo tempo mi viene regalata proprio da Lodetti, che ne ha perso il controllo nello slancio. "Passa" urla il mio centravanti, un cammellone senza paura. Io lo assecondo e lui va beatamente in gol e poi corre a sollevarmi al cielo tra il tripudio di tutti i nostri magutti e gli ombrelli inferociti degli spettatori locali. La ripresa è rabbioso assalto di Lodetti e compagni. Guardo Giovannino guizzare e dibattersi come un solenne storione nel bilancione di Lisandrìn, il mago dei pescatori di Costaverde. Un avventuroso pallone svirgola dalle mie parti dopo un gran mischia nella fanghiglia. "Passa" ri-urla il cammellone. Ri-ubbidisco. Agganciato il piedone del mio centravanti in piena area. L’arbitro è della stirpe dei Lo Bello e degli eroi: rigore! Decido per la battuta più collaudata: piatto destro alla sinistra del portiere, con finta di corpo a destra. Lodetti è piegato sulle ginocchia, la piega della basletta smorfiata dalla fatica. Il terreno fradicio mi scoordina il passo: l’impatto destro è meno perentorio e angolato dell’intenzione. Il pallone scivola lento e quasi centrale. Fortunatamente il portiere ha bevuto la finta e si è irrimediabilmente coricato a destra. Voi non sapete il piacere dello scricchiolio delle mie costole di abatino nella stretta degli amici magutti.