PAOLA ARENSI
Economia

“La vestizione va pagata”: battaglia vinta dai lavoratori di Stella Bianca

Ribaltata in Appello la sentenza di primo grado per sei addetti dell’azienda casearia di Ossago Lodigiano. L’avvocato Trussardi: “Esito positivo anche se travagliato”. L’azienda risarcisce

OSSAGO_STELLA BIANCA TEMPI VESTIZIONE

Alcuni dei lavoratori con il sindacalista Gianfranco Bignamini della sigla Fisi cui inizialmente si erano rivolti

Ossago Lodigiano (Lodi) - Un altro punto a favore dei lavoratori nella battaglia con l’azienda casearia Stella Bianca di Ossago sulla retribuzione dei tempi di vestizione. La Corte d’Appello di Milano ha riformato la sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Lodi e ha dato ragione agli addetti. Il braccio di ferro era stato avviato da una dozzina di dipendenti. Tre le cause differenti portate avanti contemporaneamente. I lavoratori si erano rivolti agli avvocati per ottenere che gli venisse pagato il tempo della vestizione, prima del turno di lavoro e quello della svestizione, a fine turno.

Si chiedeva in particolare il pagamento del tempo per accedere allo spogliatoio, togliersi i propri vestiti, indossare gli indumenti da lavoro obbligatori – pantaloni, maglietta, giubbotto, felpa, scarpe – percorrere un corridoio, scendere le scale e accedere all’ingresso dei reparti, indossare la cuffia obbligatoria per i capelli prelevandola dall’apposito contenitore. Quindici minuti in totale circa, prima e dopo la timbratura del cartellino.

La Corte d’Appello di Milano ha dato ragione a sei addetti (tre uomini e tre donne), ribaltando il verdetto di primo grado. “Questa sentenza conferma un orientamento – commenta l’avvocato Roberto Trussardi che con la collega Renata Paglia li ha difesi –. È la terza causa su questo tema intentata a Stella Bianca per diversi lavoratori. Una prima causa ebbe esito positivo. Non fu appellata e finì. Un’altra causa ebbe esito positivo, fu appellata ma Stella Bianca perse l’appello. Questa è la terza: avevamo perso il primo grado a Lodi e vinto, invece,in appello. L’esito è comunque positivo anche se con un iter travagliato. Comunque, mettiamo fine alla vicenda. Abbiamo seguito una dozzina di persone in circa un anno e mezzo”.

I lavoratori sono stati indirizzati verso gli avvocati dal sindacato Fisi e si è creato rapporto diretto. Inizialmente la sigla sindacale aveva chiesto un “tempo tuta” mai concesso. “Così abbiamo avviato azioni a titolo individuale” conclude l’avvocato. Ora sono stati stabiliti i risarcimenti per gli ultimi sei lavoratori in causa. L’azienda dovrà corrispondere 1.455,18 a un dipendente, 1.989,03 all’altro, 2.337,66 a un terzo, 2.331,96 a un loro collega, per passare a 457,28 al quinto e 3.280,13 al sesto (per un totale di oltre 11 mila e 850 euro). e rifondere le spese del contenzioso per 6.250 euro. La Corte d’Appello, nella sentenza, ha ribadito che “nel caso in esame, l’obbligo è imposto dalle esigenze di produzione ed è dunque riferibile all’interesse aziendale e non certo a scelta discrezionale del lavoratore”. La ditta è stata invece difesa dall’avvocato Anna Maria Riva che ieri non è stato possibile rintracciare.