ANDREA SPINELLI
Magazine

Aurora: “Canto la Terra, sono una strega buona”

Ecco ‘What happened to the heart’ della cantante norvegese. Da Glastonbury all’Alcatraz di Milano

La cantautrice norvegese Aurora

Milano, 17 giugno 2024 – Il pianeta visto dal profondo Nord è un "cuore che pulsa dentro di noi" come lo definisce la lettera che ha suggerito ad Aurora titolo e concept del suo quarto album What happened to the heart? realizzato con uno stuolo di amici, fra cui Tom Rowlands dei Chemical Brothers. Lettera scritta da attivisti indigeni, intitolata "Noi siamo la Terra", capitata tra le mani della ventottenne cantautrice norvegese un paio di anni fa colorandole la notte come l’aurora boreale. "È molto triste pensare che abbiamo perso la connessione con la Terra iniziando a trattarla come una cosa di poco valore per le nostre vite" ammette miss Aksnes dalla sua casa di Bergen. "Ma chi si adopera per preservarla, preserva l’anima del genere umano, che non vuole estinguersi ma ha bisogno della Terra per evitare la fine".

Salvare la Terra: come fare?

"Ho chiaro il problema, ma non le soluzioni. Sulla questione climatica sono i soggetti con più potere e più forza economica ad avere il ruolo decisivo, perché è dalle loro scelte che dipende il futuro. Purtroppo, buona parte di loro non s’è ancora resa ancora conto fino in fondo dei disastri provocati dal riscaldamento globale".

Dice di aver lavorato a questo disco durante il tour del predecessore The gods we can touch seguendo una sola regola: quella di scrivere tutto il materiale in spazi insicuri. Che significa?

"Ho scritto questo album in giro per il mondo perché trovo creativo farlo in luoghi che assomigliano a vie di fuga; posti rumorosi, pieni di gente e e di odori strani, ad esempio. Ma anche in stanze solitarie lontane da casa, dove non ero mai stata prima".

Quest’estate canta pure a Glastonbury e a Roskilde. Preferisce l’enfasi dei grandi raduni o l’intimità dei club come quell’Alcatraz di Milano a cui il 18 settembre riserva il suo unico show italiano?

"Sono entusiasta di esibirmi in entrambi i contesti, perché nei festival non sai mai chi hai davanti ed è una bella sfida far conoscere la tua musica anche a persone che non ti conoscono, ma sono lì per gli altri artisti del cartellone. Pure se l’opportunità di ricreare i paesaggi musicali delle mie canzoni fra quattro pareti con quelli che ne vogliono realmente godere mi spinge, tutto sommato, a preferire la dimensione raccolta dei club".

L’anno scorso s’è esibita a Roma sul palco del concertone del Primo Maggio. Cosa conosce della musica italiana?

"Innanzitutto, Bruno Lauzi. Perché la sua Ritornerai, così triste, ma anche così piena di speranza, è una canzone bellissima. Debbo dire che molti brani capaci di toccarmi l’anima sono italiani. E questo anche senza il bisogno di capirne le parole".

In giro per il mondo avrà incontrato i Måneskin.

"Dimentico sempre che sono italiani, perché Måneskin è una parola scandinava che significa “chiaro di luna“. Sono davvero bravi ed è sempre bello ascoltare artisti con quel fuoco dentro".

Col pensiero alle leggende del suo paese, si sente più un troll, una strega, un gigante o uno spiritello?

"Uhm… direi una strega. Ma buona. Quelle che un tempo dispensavano doni meravigliosi, guarendo le persone con la forza della musica. Una forza che il mondo non capiva e per questo si accaniva contro di loro. Io, invece, l’ho sempre considerata una specie di medicina che cura e sazia i bisogni della gente".