Milano, 17 febbraio 2025 – Qualcuno ha voluto vederci una stoccata all’ex marito Fedez, in quel momento impegnato sul palcoscenico dell’Ariston, nella serata finale del Festival di Sanremo. Ed effettivamente i versi del poeta siriano Nizar Qabbani, condivisi su Instagram dall’imprenditrice digitale Chiara Ferragni, possono prestarsi a questa chiave di lettura.

“La donna non vuole un uomo ricco, o bello e neanche un poeta. Lei vuole un uomo che capisca i suoi occhi se diventa triste, e punti al suo petto, e dica ‘Qui è la tua casa’”: questo il brano postato dall’influencer del Pandoro-gate, in inglese, in una storia sul suo profilo. La scelta dell’autore, va detto, non è banale, al di là che la poesia non è certo il genere più frequentato sui social network, anche in pillole un po’ decontestualizzate.
Chi è Nizar Qabbani
Poeta e giornalista, nato a Damasco nel 1923, Qabbani è stato protagonista di un percorso personale piuttosto originale. Nato in una famiglia di mercanti, dopo la laurea in Legge nell’università della sua città natale, lavorò per il ministero degli Esteri siriano. In parallelo non rinunciò mai a coltivare la sua passione per la letteratura.
Nella sua produzione si combinano le ispirazioni legate all’amore e gli echi delle evoluzioni geopolitiche, spesso drammatiche, vissute dal Medio Oriente.
Le opere
La sua prima raccolta risale al 1944 ed è intitolata “Mi disse una bruna”. Visse lunghi periodi della sua esperienza diplomatica in Cina. E proprio la sua missione in estremo oriente fu spunto per alcune delle sue liriche considerate migliori dai critici.
Nel 1966 decise di rassegnare le dimissioni e di dedicarsi completamente alla poesia, al giornalismo, fra scrittura e promozione della letteratura, attraverso le numerose uscite della casa editrice da lui fondata. Con il passare del tempo quello che lo circonda, in un panorama sempre più tormentato dal punto di vista geopolitica, inizia a innervare sempre di più la sua poesia.
La drammatica Guerra dei Sei Giorni (1967) matura in lui una svolta anche stilistica: inizia a comporre feroci poesie satiriche in cui mette alla berlina personaggi e scelte dei governi arabi, abbandonando la metrica classica a favore del verso libero, come esemplificato in “Poesie selvagge” (1970). Nel 1973 pubblica il saggio autobiografico "La mia storia con la poesia", in cui espone le sue teorie poetiche e descrive il suo impegno sociale e politico.
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La tragedia personale
Nel 1981 un altro episodio segna per sempre la vita – e, di riflesso, l’ispirazione – di Qabbani. La seconda moglie, infatti, viene uccisa nel corso di un bombardamento su Beirut, la città del Libano dove l’autore si è trasferito dopo aver lasciato Damasco (la nostalgia per la quale, però, rimarrà motivo ricorrente nei suoi versi).
A lei dedica la poesia “Balqees”, una nuova feroce critica nei confronti dei governi che, con le loro scelte politiche, mandano a morte il popolo arabo.
Gli ultimi anni
Dopo la morte della amata seconda moglie Qabbani si trasferisce in Europa, vivendo fra Ginevra e Parigi, fino a quando non si stabilisce definitivamente a Londra, dove trascorrerà gli ultimi 15 anni di vita, fino alla morte per attacco di cuore nel 1998.
Qui intingerà nuovamente la sua penna “nel veleno”, con altre poesie dedicate alla situazione politica in Medio Oriente. Risalgono a questo periodo “Quando annunceranno la morte degli arabi?" e "I Corridori". Alla morte chiede di essere essere sepolto a Damasco, la città rimasta nel cuore che descrisse nel suo testamento come "il grembo che mi ha insegnato la poesia, mi ha insegnato la creatività e mi ha concesso l'alfabeto del gelsomino.