LORELLA CAPPARUCCI
Magazine

La nuova vita di Santo Versace: “In testa e nel cuore la solidarietà. La morte di Gianni mi ha cambiato, per 4 anni sono andato a dormire nel suo letto”

L’ex manager della casa di moda: con mia moglie ho dato vita a progetti in Africa e al carcere di Bollate. “Io e mio fratello eravamo due facce della stessa medaglia. Lady Diana era venuta in via Gesù a casa nostra prima del funerale: per consolarmi mi tenne la mano per tutto il tempo”. Il rapporto con Donatella: le ho fatto da padre, la sua nascita un dono. Per i miei 80 anni mi ha regalato 100 rose bianche

Santo Versace con la moglie Francesca De Stefano

Santo Versace con la moglie Francesca De Stefano

Milano – Santo Versace, il passato e il futuro. Dal mondo della moda al mondo dei più fragili. Dalle supertop in passerella alle mamme d’Africa che muoiono di fame. Questa è la sua nuova vita, dedicata ad aiutare gli altri. La Maison Versace resta “l’incancellabile creatura nata in famiglia e arrivata al successo internazionale”, ma sulla sua probabile acquisizione – di cui si è parlato in questi giorni – da parte di Prada un solo commento: “Sarei solo contento se la Versace tornasse a essere italiana”. T-shirt, giacca nera, energia da vendere. Fuori dalla finestra gli alberi del Fleming, quartiere di Roma. E “in testa e nel cuore” la solidarietà.

Con sua moglie Francesca De Stefano avete dato vita alla Fondazione Santo Versace. Lei ha maneggiato il potere, la ricchezza, la fama. Come è nata l’esigenza di fare qualcosa per gli altri?

“Come famiglia noi siamo sempre stati impegnati nel sociale: un esempio su tutti, Convivio, l’evento charity a Milano che ha realizzato negli anni milioni di euro”.

La Fondazione è il vostro orgoglio.

“Io e mia moglie aiutavamo diverse associazioni ma a un certo punto volevamo realizzare qualcosa di solo nostro”.

E avete portato a termine il primo progetto.

“Si chiama “Il miracolo della vita”: è una casa speciale, al confine della baraccopoli di Kibera a Nairobi per madri senza dimora e i loro bambini. Qui trovano cibo, igiene, cure mediche”.

Dall’Africa all’Italia, sta per essere inaugurata un’altra grande iniziativa solidale.

“Si tratta di “Abbracci in libertà”, un’idea diventata realtà per il carcere di Bollate: la riqualificazione di un’area esterna del reparto femminile del penitenziario. Abbiamo creato un campo giochi, un luogo amico dove mamme e figli possono trascorrere il tempo delle visite divertendosi. Questo progetto lo inaugureremo il giorno della Festa della mamma”.

Ha appena ricevuto una laurea honoris causa “per la straordinaria carriera imprenditoriale nell’industria della moda”.

“Emozionante, è successo in Calabria. Una grande soddisfazione”.

Ritornare in Calabria, da dove tutto è partito.

“Da giovane ero in bottega con mio padre, Gianni in bottega da mia madre, sarta. Io imprenditore, lui creativo. E c’era Tinuccia, la primogenita: morì a 10 anni. Poi nacque Donatella, la chiamarono così perché fu un dono. Per il mio compleanno, 80 anni, mi ha mandato cento rose bianche”.

Lei dice di aver vissuto diverse vite.

“La prima – fantastica – a Reggio Calabria. Io sono nato lavoratore. A 6 anni seguivo mio padre, rivenditore di materie prime, spalavo il carbone. La laurea in Economia, il lavoro in banca, ho anche insegnato a scuola”.

Poi ha seguito suo fratello Gianni a Milano.

“Mamma mi esortava: accompagnalo. E da lì iniziò la nostra avventura”.

Storia di coraggio, successi e lacrime, nel 1997 Gianni fu ucciso. Era un’icona internazionale della moda. Al suo funerale in Duomo a Milano abbiamo ascoltato Elton John e Sting cantare per l’amico scomparso. E c’era Lady Diana...

“Lady Diana era venuta in via Gesù a casa nostra prima del funerale. Chiacchierammo per più di mezz’ora e per consolarmi mi tenne la mano per tutto il tempo”.

Un colpo durissimo. Lei ha avuto gli incubi per un po’.

“Per 4 anni sono andato a dormire nel letto di Gianni a Como. Ho dato una mano a Donatella per traghettare l’azienda. Un grande aiuto per ritrovare me stesso è stato scrivere il libro Fratelli, una famiglia italiana (Rizzoli). Avevo bisogno di ricordare tutto”.

Nel libro scrive che “i rapporti tra fratelli non seguono regole precise, ci si unisce, ci si disunisce”.

“Con Gianni eravamo due facce della stessa medaglia, a Donatella ho fatto sempre da padre. E il mio compito era quello di far quadrare i conti”.

Poi nel 2018 ha ceduto l’azienda. La sua vita è cambiata ancora una volta.

“Ho chiuso un capitolo. Determinante è stato l’incontro con mia moglie. Lei mi ha aiutato a guarire le mie ferite. Ci siamo riavvicinati alla fede, ma non alla fede “in smart working”: leggiamo il Vangelo, andiamo a messa la domenica”.

Oggi come vede il mondo della moda?

“È in continua evoluzione: i creativi hanno attraversato il Covid, i negozi chiusi, la crisi. Poi la guerra in Ucraina. Ma è un mondo fatto da imprenditori straordinari. Loro superano sempre tutto”.

Fare del bene, la nuova grande missione. Ma davvero non ha nessuna nostalgia per quel mondo?

“No, al primo posto oggi c’è la Fondazione. Certo, quando penso a noi l’emozione c’è sempre. Ma una parte di me se n’è andata il 15 luglio 1997 con la morte di Gianni”.