Con la mostra Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà, aperta dal 7 ottobre al 7 gennaio 2024, Fondazione Palazzo Te inaugura la stagione autunnale proponendo un peculiare punto di vista sull’opera del pittore fiammingo. L’esposizione fa parte del progetto Rubens! La nascita di una pittura europea, frutto della collaborazione con Palazzo Ducale di Mantova e Galleria Borghese di Roma. La mostra, a cura di Raffaella Morselli in collaborazione con Cecilia Paolini, indaga l’opera del maestro fiammingo.
Le opere in mostra – complessivamente 52, di cui 17 del solo Rubens, divise in dodici sezioni, in prestito da musei internazionali come il Museo del Louvre, il Museo del Prado, il Museo Boijmans di Rotterdam, la Galleria Nazionale di Danimarca, i Musei Capitolini di Roma e i Musei Reali di Torino – sono state scelte in funzione del dialogo che riallacciano con i miti e con l’interpretazione che ne diede Giulio Romano nelle varie stanze, con l’obiettivo di creare una rispondenza tra le opere di Rubens e i motivi decorativi e iconografici che distinguono il palazzo. Un percorso paradigmatico che dimostra quanto le suggestioni rinascimentali elaborate negli anni mantovani e italiani siano continuate, evolvendosi, nella pittura della maturità, fino a trasmettersi nell’eredità intellettuale e artistica lasciata agli allievi.
L’immaginifica popolazione di divinità e di testi antichi inventati e citati da Giulio Romano a Palazzo Te sono la palestra ideale per il colto Pieter Paul Rubens (Siegen 1577 – Anversa 1640), intellettuale rinascimentale formatosi nelle Fiandre su testi e immagini dai classici latini e greci, che a Mantova trova il luogo perfetto per immergersi nei sogni antichi. Sotto il tetto di Palazzo Te, infatti, si consuma la conversione di Rubens da fiammingo a italiano, e il suo mondo si trasforma in quello di un linguaggio universale con cui parla a tutte le corti d’Europa. Un percorso che proprio in queste sale trovò il metodo, l’ispirazione e la direzione.
Una grande suggestione viene all’artista dalla conoscenza della cultura romana, che Rubens considera una lezione morale prodromica all’avvento del Cattolicesimo. A questo proposito, si inserisce bene nel percorso espositivo una serie di opere in cui Rubens interpreta la figura di Achille – emblema dell’eroismo dell’essere umano, capace di scrivere la storia pur nella sua finitezza mortale –, come l’Achille scoperto da Ulisse tra le figlie di Licomede del Prado, in cui emerge chiaramente il riferimento a quanto visto a Palazzo Te nella posa della fanciulla seduta di spalle in primo piano, che è la stessa di una presente nel Banchetto rustico della Sala di Psiche.
Un aspetto inedito illustrato in mostra è poi l’introspezione psicologica del ritratto: il raffronto tra il Ritratto di Bartolomeo Cesi e la Dama delle Licnidi permette al pubblico di avvicinarsi e comprendere approfonditamente il modo di intendere il cosiddetto “ritratto parlante” di Rubens. Dopo questa immersione nella pittura italiana vista con gli occhi del maestro, il suo personale manuale di storia dell’arte, torna l’annosa domanda se Rubens sia da considerarsi fiammingo o italiano: una domanda ormai superata perché Rubens è l’uomo nuovo universale che oltrepassa i confini religiosi, geografici e politici, per inventare un nuovo linguaggio che è, a tutti gli effetti, internazionale.