Mantova, 16 giugno 2018 - «Sì, è un miracolo». Non ha paura di ‘scomodare’ un termine che non compare nei manuali di medicina Valeria Fasolato, direttore di neonatologia e terapia intensiva neonatale dell’ospedale Poma di Mantova. La deroga è giustificata quando c’è da raccontare il parto «eccezionale» di una 33enne, in coma da oltre tre mesi e diventata mamma di una bimba dopo un intervento di due ore e mezza eseguito da un’equipe di trenta medici coordinata dal ginecologo Giampaolo Grisolia. «Un miracolo a cui abbiamo dato il nostro contribuito», aggiunge la dottoressa Fasolato che rivive ogni istante: l’arresto cardio-circolatorio dopo il primo trimestre, il ricovero nell’ospedale di Pieve di Coriano, nel Mantovano, l’ictus e quel coma leggero che impedisce alla 33enne di parlare ma non di respirare. Tanto è bastato per iniziare una terapia a Pieve e concluderla all’ospedale di Mantova giovedì, poco prima di mezzogiorno, con il padre e la nonna increduli fuori dalla sala operatoria a ricevere la buona notizia: la bimba è nata e pesa 1,4 chili.
Dottoressa Fasolato, come sta la piccola? «La situazione è stabile. Ma non le nascondo che al termine del primo giorno siamo davvero contenti. È in terapia intensiva neonatale, assistita a livello respiratorio e ha iniziato ad essere alimentata. Dato che non può essere allattata dalla mamma, abbiamo scelto il latte della Banca del latte perché è più digeribile». Ce la descrive? «È una bimba davvero bellissima, quando è nata ha anche cercato di piangere prima di essere trasferita nel reparto di terapia intensiva». Quando e perché avete deciso di accelerare il parto? «La mamma è stata trasferita a Mantova una decina di giorni fa. È stato necessario programmare l’intervento perché c’era un’insufficienza placentare: non si poteva aspettare oltre». Come è riuscito a crescere il feto se la mamma era in coma? «Il segreto di questo miracolo è stato il lavoro medico di equipe. Questo è stato il nostro contributo: la ragazza è stata seguita da fisioterapisti e nutrizionisti che la alimentavano per aiutare la bimba a crescere. C’erano infermiere dedicate alla nutrizione più volte al giorno. L’equipe che ha preso in carico la paziente a Pieve ha continuato a lavorare anche all’ospedale di Mantova, dove è stata trasferita perché c’è il reparto di terapia intensiva neonatale. Qui l’equipe è stata integrata con altri medici». Qual è stata la difficoltà più grande da superare nell’intervento? «L’operazione è stata difficoltosa già per la posizione della donna, che a causa della malattia ha gli arti contratti. Non è semplice effettuare un cesareo così. Eppure gli anestesisti sono riusciti ad eseguire una spinale per salvaguardare la salute della mamma e della piccola». Come ha reagito la madre? Ha dato dei segnali? «Ce lo siamo chiesto anche noi. Sicuramente dopo il parto era molto più rilassata, ma non mi sento di dire al cento per cento che si sia accorta di aver partorito. Le sue condizioni sono stabili e sono monitorate dai cardiologi». Si possono ipotizzare i decorsi?
«Non me la sento di azzardare previsioni. Oggi siamo contenti così».