Mantova - Un crimine, quasi perfetto, in due tempi. Un presunto assassino che in passato era già riuscito a divincolarsi dall’accusa di aver ucciso due donne e che ora nega di aver ammazzato la suocera. Sono serviti sei mesi di indagini dei carabinieri di Mantova, dei Ris e della Procura per ricomporre il puzzle dell’omicidio di Malavicina, una ricostruzione che cozza contro i silenzi e i diniegi dell’unico imputato e contro le tesi della difesa. Tutto ruota attorno alla figura di Enrico Zenatti, 54 anni, nato a Custoza, nel Veronese, da tempo trapiantato nel Mantovano, dove faceva l’agricoltore e il negoziante di frutta e verdura.
Cosa sembra inchiodarlo? È il pomeriggio del 9 dicembre scorso. Un’ambulanza arriva in una villetta a due piani in largo Puccini a Malavicina, frazione rurale di Roverbella. Nella cantinetta al piano interrato i soccorritori trovano una donna di 73 anni, riversa nel sangue e con una ferita alla gola, letale. La donna si chiama Anna Turina, ha cessato di vivere da pochi minuti sotto gli occhi della figlia e del figlio. Di sicuro è un omicidio.
Passa una notte e all’alba del 10 viene fermato Zenatti, il genero della signora uccisa. Lui nega ma i riscontri, racconterebbero un’altra verità. Zenatti sarebbe passato nella villetta condivisa con la suocera una prima volta: tra i due sarebbe scoppiato un violento litigio e l’uomo avrebbe aggredito la vittima; credendola morta si sarebbe allontanato. Poco più tardi a Zenatti arriva la telefonata della moglie e del cognato che gli dicono che Anna sta male. L’agricoltore torna indietro, allontana i parenti ("Andate a chiamare il 118") e rimasto solo con la vittima la finisce forse con un vetro di bottiglia per impedirle di raccontare della prima aggressione. Un omicidio in due tempi, quindi, avvalorato dalle tracce di sangue trovate sui vestiti di Zenatti, dalle telecamere e dalle sue stesse ammissioni. L’uomo infatti racconta di aver fatto visita alla suocera prima per trovare una bottiglia e poi mentre era in agonia, ma di essere rimasto solo con lei "per pochi attimi".
I suoi dinieghi e il suo silenzio nel secondo e ultimo interrogatorio non lo scagionano: il pm mantovano Fabrizio Celenza ottiene il giudizio immediato per l’agricoltore (sulla base di prove sostanziali, afferma l’accusa). Al doppio delitto corrisponde la doppia imputazione di omicidio volontario seguito a un tentato omicidio, il tutto con aggravanti che portano dritto all’ergastolo. Il processo è fissato per il 6 ottobre. Ma Zenatti è davvero “l’uomo che uccise due volte“? I suoi difensori gli avvocati Silvia Salvato e Andrea Pongiluppi non ci credono. Di certo, però, si sono riaccesi i riflettori per l’altro giallo di cui è stato protagonista Zenatti. Il contadino veronese era finito in cella e ci era rimasto tre anni con l’accusa di aver ammazzato brutalmente due prostitute che frequentava a Verona. La brasiliana Luciana Lino Da Jesus, trovata strangolata nel proprio letto, e la colombiana Yolanda Garcia Holguin, sparita da un giorno all’altro senza lasciare tracce. Nessuno l’ha più trovata. I delitti erano avvenuti tra il 2003 e il 2004.
Entrambe le vittime conoscevano bene Zenatti. La polizia veronese lo incastra per i tabulati e molte altre testimonianze. Il pm di allora, lo stesso Fabrizio Celenza che se lo è ritrovato davanti dopo l’omicidio mantovano, in primo grado chiede 30 anni e ne ottiene 18 per il rito abbreviato. In appello però la sentenza viene ribaltata e la Cassazione conferma l’assoluzione in via definitiva. Zenatti torna a Malavicina. La moglie e i due figli lo perdonano, in zona lo conoscono perché porta frutta e verdura a domicilio, fa il volontario della Protezione civile. Una vita rispettabile. Poi un’altra accusa. "Qui non si giudica il passato di Zenatti" taglia corto la sua legale Silvia Salvato. E ha tutte le ragioni. Però a Verona l’avvocato Enrico Bastianello, che rappresenta la famiglia di una delle ragazze uccise ha presentato istanza per la riapertura delle indagini. E tornano alla mente le parole di Marco Odorisio, all’epoca capo della Mobile a Verona: dell’assoluzione di Zenatti disse "di lui sentiremo ancora parlare". Profezia che si è realizzata