
Gli americani al loro arrivo a Moglia
Moglia (Mantova) – Le fotografie degli americani che entrano con i carri armati a Moglia. Le testimonianze degli ultimi sopravvissuti di quei giorni tumultuosi, drammatici, età veneranda, memoria lucidissima, e quelle di chi ha conservato i loro racconti. Tutto raccolto in un filmato, “Ricordi sparsi prima, durante e dopo il 22 aprile 1945 intorno a Moglia”, realizzato da Gianni Bellesia, fotografo e appassionato ricercatore storico, che verrà proiettato proprio martedì 22 aprile alle 20.45 al Museo delle Bonifiche di Moglia. Ottant’anni dopo. Per non dimenticare.
“Ero a Milano - dice Bellesia -, alla Regione, quando ho conosciuto una coppia di coniugi. Il nonno della signora era stato il farmacista di Moglia, il padre un pilota dell’aviazione italiana abbattuto durante la Battaglia d’Inghilterra. Da lei ho appreso una storia che non mi era nota. I tedeschi avevano deciso di minare il centro di Moglia e di farlo saltare prima di ritirarsi. Ma non ne avevano avuto il tempo perché l’avanzata degli americani era stata rapida. Ho avuto lo spunto per la mia ricerca”.
Dionigio Pirondi è il testimone più anziano con i suoi 97 anni. Ne ha da poco compiuti 17 quando assiste all’entrata a Moglia dei soldati a stelle e strisce. Un evento storico, ma non c’è nessuno che lo possa immortalare. L’unico fotografo di Moglia si è nascosto, pare, racconta Pirondi, nel timore che gli fosse rinfacciata la sua amicizia con gli occupanti tedeschi. Così le uniche foto sono quelle scattate dagli stessi americani. Ad andare incontro al primo carro armato che si materializza all’ingresso del paese è l’unico che parli inglese: il maestro elementare Giugnio Traldi. Da un carro armato sbuca un ufficiale, chiede qualche indicazione stradale che il maestro fornisce. Riconoscente, l’ufficiale gli regalò un paio di occhiali Ray Ban.

Germano Ghelfi racconta a Bellesia la storia di sua nonna Emma Salvagno, una donna coraggiosa. Emma, originaria di Porto Mantovano, ha trascorso l’infanzia in Svizzera, nel cantone San Gallo, parla perfettamente il tedesco. Tornata in Italia, sposa Aristodemo Borgonovi, di Bondanello, frazione di Moglia, e gli dà due figli. È un giorno di febbraio del ‘45. Gli Alleati risalgono la penisola, ma la fine della guerra sembra ancora tanto lontana. Dieci uomini del paese sono incappati in una retata dei tedeschi che li hanno rinchiusi nelle scuole elementari, non si sa con quali intenzioni. Disperati, i familiari si rivolgono a don Paolo Balzani, il parroco. Francesco Rezzaghi, allora bambino, è uno dei testimoni intervistati da Bellesia. Conserva, nitido, il ricordo di quella processione di mogli e madri che si avvia verso le scuole portando cibo per i prigionieri e poi prende la strada della parrocchia. Don Paolo non sa una parola della lingua di Goethe, ma è un uomo buono e generoso. Ha una ispirazione: la signora Emma. L’incontro con il comandante tedesco dura più di un’ora. Il parroco cerca di spiegare che è tutta brava gente, onesti lavoratori che non si sono mai interessati di politica e che spesso, la sera, gli fanno compagnia in canonica per una partita a carte. Emma traduce in perfetto tedesco. La missione ha successo. I dieci vengono liberati.

Fra i soldati approdati a Moglia c’è Cruz Rios. Bellesia ha rintracciato Val, il figlio, che gli ha indirizzato una lettera molto toccante. “Noi - scrive Val - siamo americani ma di origine messicana e papà ha sperimentato molti pregiudizi durante la sua crescita. Era così contento di far parte della Decima Divisione di Montagna perché sentiva che i suoi commilitoni lo trattavano come un fratello. Ma quando si addestrava al Camp Swift, in Texas, le cose erano diverse. Gli veniva dato un lasciapassare e quando andava in città c’erano cartelli che dicevano ‘No negri, no messicani, no cani’. Presto sarebbe partito per la guerra, forse per perdere la vita, ma non era il benvenuto nel suo paese. Quindi, soprattutto nella valle del Po, forse anche a Moglia, sarà stato accolto a braccia aperte e con un bacio su entrambe le guance. Sì, papà, si innamorò dell’Italia ma soprattutto della sua gente!”.