Mantova – Tutta la città ne parla, in genere bene. E capita di assistere a scene come questa: una pensionata che si siede ai giardini, si guarda intorno e commenta: "Lui è proprio bravo" sentendosi rispondere da un altro mantovano che sì, "lui ci sa fare". Siparietti insoliti nell’Italia dei mille Comuni. Mattia Palazzi, 46 anni, è un sindaco piuttosto amato dai suoi concittadini. Lo dicono i discorsi ascoltati al volo ma anche le statistiche. L’ultima uscita, la Governance Poll 2024 del Sole 24 Ore, lo colloca al quarto posto nazionale (su 80 posizioni) a pari merito con altre sei primi cittadini. Sono Luigi Brugnaro (Venezia), Giuseppe Cassì (Ragusa), Claudio Scajola (Imperia), Matilde Celentano (Latina), Mario Conte (Treviso) e Alessandro Canelli (Novara). Sul podio Michele Guerra (Parma), Gaetano Manfredi (Napoli) e Michele de Pascale (Ravenna). In un anno Palazzi, ora primo fra i lombardi, ha scalato sei posizioni (era decimo) ed è cresciuto anche il voto di gradimento dei cittadini.
Contento?
"È una cosa che certo fa piacere, ma va presa con grande moderazione".
Quali sono, secondo lei, gli ingredienti dell’indubbio consenso su cui può contare in città?
"Non credo ci siano particolari atteggiamenti. Io sono fatto così, che mi si apprezzi oppure no. Sono molto presente, non mi sono chiuso nel Palazzo, sto tra la gente. Ma alla fine sono uno che decide. Credo nel confronto costante, ma una scelta a un certo punto va fatta. Per questo mi danno del decisionista, ma io credo che confronto e determinazione siano due gambe che camminano insieme. Inoltre le persone mi conoscono: vivo a Valletta Valsecchi in un quartiere popolare, se scendo a bere il caffè o porto a spasso il cane chi mi incontra sa che può fermarmi e segnalarmi un problema, piccolo o grande".
Con quali risultati?
"Io provo ad ascoltare e a provvedere, se posso. La gente, che mi voti o non mi voti, sa che sono un punto di riferimento. E sa anche che non mi piace lasciare le cose a bagnomaria. Né sono il tipo da grandi risate e pacche sulle spalle".
Tra le realizzazioni pratiche della sua doppia sindacatura ce ne sono alcune che hanno cambiato il volto della città, per esempio il Parco del Te.
"È la più simbolica e la soddisfazione più grande è vedere quanti mantovani frequentano il parco. Appartengono a tutte le estrazioni e tutte le età. Vengono dai quartieri periferici ma anche dalla strade signorili del centro. In una parola, il nuovo grande giardino di Mantova piace trasversalmente a tutti".
I suoi programmi hanno puntato su riqualificazioni urbane e rilancio delle aeree industriali. Con buoni risultati?
"Il progetto per il recupero di Fiera Catena ha visto nascere un polo scolastico, ora è pronta la palestra del centro sportivo e si lavora alla realizzazione di un ostello e di un centro per ragazzi con disabilità. E poi c’è Valdaro, con i suoi nuovi insediamenti industriali e la prospettiva di polo dei trasporti imperniato su ferro, gomma e acqua. Valdaro comporta nuovo lavoro per almeno 1.500 persone. È un passo vitale per il futuro di Mantova".
Già, il futuro. Lei è al secondo mandato, probabilmente la rivoterebbero ma la legge le impedisce di ricandidarsi e al più tardi nel maggio 2026 dovrà lasciare i suo uffici di via Roma. È però noto che lei non è d’accordo.
"Io dico solo due cose: in tutta Europa solo l’Italia e la Polonia hanno un limite di mandato per i sindaci, che pure vengono scelti col voto popolare diretto. Invece si può fare il parlamentare a vita, o il consigliere regionale, sempre a vita. È incomprensibile per me e se me lo si chiede, dico che avrei altri progetti ed energie per la mia città. Ma se la legge non cambia, tra un anno e 8 mesi farò le valigie".