Segrate, 28 maggio 2011 - "All'inizio era una specie di tv di condominio. L’avevo pensata per far ritrovare sullo schermo la gente del quartiere. Ho solo sfiorato Berlusconi, ma non gli ho mai parlato. Chissà dove sarei adesso se ci fossi riuscito...». Prima di diventare Canale 5, c’era Telemilanocavo, una piccola emittente fortemente voluta e inventata da Giacomo Properzjpersonaggio fondamentale nella storia di Milano 2. Il quartiere di Segrate, di cui tra l’altro fu sindaco repubblicano dal 1980 al 1983, venne costruito negli anni Settanta dalla Edilnord di Silvio Berlusconi e oggi compie quarant’anni. Properzj fondò nel settembre 1974 l’emittente che nell’80 sarebbe poi diventata il primo grande canale privato nazionale. Oggi ricorda quegli anni eroici, quando trasmetteva da uno scantinato vicino al «Palazzo dei cigni».

Come ebbe l’idea di fondare Telemilano?
«In quel periodo nascevano le prime televisioni private via cavo, sull’esempio di TeleBiella. Il mio interesse era quello di portare la politica in tv, come succedeva a New York».

Come arrivò a Milano 2?
«Ci andai con Vittorio Moccagatta, allora pr di Berlusconi. Appresi che la zona era dotata di un impianto centralizzato di trasmissione via cavo per evitare le antenne condominiali sui tetti. Decisi di stabilire lì il mio studio».

Qual era il suo pubblico?
«I primi 5mila abitanti di Milano 2. Era infatti una tv di quartiere».

Quali erano i programmi?
«Tre tipi diversi: i documentari della Mondadori, i forum dei residenti e le tribune politiche».

Può fare alcuni esempi?
«Reportage naturalistici o sulla storia della Ferrari. Discussioni fra condòmini su questioni locali. Infine tribune o comizi di personalità come il giornalista Enzo Bettiza o i politici Paolo Pillitteri e Giovanni Spadolini. C’era un bacino elettorale borghese a cui parlare e la sinistra cittadina ne aveva temuto l’arrivo sin dall’inizio».

In quanti vi lavoravate?
«In tutto eravamo in sei. Gli operatori si lamentavano sempre per il magro stipendio».

Quante erano le ore di trasmissione al giorno?
«Tre o quattro. Allora ero vicedirettore della banca francese Indosuez. Alle 17 uscivo dall’ufficio e in dieci minuti ero a Milano 2 per mandare in onda i programmi. Il periodo più intenso fu quello delle elezioni politiche del ’76. Alle 22 si spegneva tutto e si andava a letto».

Perché decise di vendere?
«Ero stanco dell’esperienza e avevamo 18 milioni di lire di debito».

Come mai?
«Il nostro studio era in affitto dalla Edilnord; telecamere e strumenti erano in leasing. I proventi della pubblicità, poca roba che arrivava soprattutto dai negozi della zona, non bastavano mai».

Come conobbe Berlusconi?
«Accadde un pomeriggio del 1976. Ero nello studio televisivo, al telefono con Paolo Pillitteri che era assessore alla Cultura di Milano. Mi si presenta un ometto sorridente, basso, che scende le scale per visitare lo studio, mentre io resto occupato al telefono. Dopo solo un minuto Berlusconi uscì e andò via. Non feci in tempo a scambiare con lui una sola parola. Chissà cosa sarebbe successo se ci fossi riuscito».

Quando avvenne la cessione?
«Nel 1976, pochi mesi prima della sentenza della Corte Costituzionale, che autorizzava le trasmissioni locali via etere. Molto più redditizie di quelle via cavo».

Da lì nacque Canale 5. Si è mai pentito di aver venduto?
«No. Non sarei mai stato capace di costruire un impero come Mediaset. Puntavo sul cavo e su trasmissioni di politica e cultura. Berlusconi ha dimostrato che con i quiz di Mike Bongiorno, i varietà e i telefilm, il mondo andava da tutt’altra parte».