Cenacolo vinciano: tre curiosità su l’Ultima Cena

Si tratta di una delle opere più visitate in Italia, con file chilometriche e lunghe attese: è l'Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Vi sveliamo tre curiosità su questo capolavoro.

Fonte: Wikipedia

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Milano, 5 gennaio 2017 – Più di quattrocentomila visitatori e biglietti staccati per un totale di oltre due milioni di euro: il Cenacolo vinciano, ospitato nel refettorio rinascimentale del santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano, è stato nel 2015 il tredicesimo sito statale italiano più visitato. Un vero e proprio successo confermato dalle file di visitatori e dalle attese di settimane per le prenotazioni. Ecco tre curiosità sull’opera di Leonardo che forse non immaginavate.

Una tecnica particolare Molti pensano che l’Ultima Cena, bene protetto UNESCO, sia un affresco, ma Leonardo non amava questa tecnica perché necessita di una esecuzione molto rapida: è necessario stendere i colori prima che l’intonaco asciughi rendendo impossibili ripensamenti, correzione degli errori, piccole modifiche e aggiunte. Così Leonardo decise di dipingere sul muro utilizzando la stessa tecnica che applicava ai suoi dipinti su tavola: dopo aver steso un intonaco piuttosto ruvido e aver utilizzato una specie di sinopia, lavorò al dipinto usando una tempera grassa realizzata probabilmente emulsionando uovo e diversi olii. Questa tecnica ha permesso una estrema accuratezza nei dettagli, ma è stata anche alla base dei problemi conservativi che hanno reso necessario un profondo restauro durato dal 1978 al 1999.

Ma come lavorava il genio italiano? Matteo Bandello, vescovo e scrittore del Cinquecento, nella novella LVIII del 1479 narra di come Leonardo lavorasse al Cenacolo: “Soleva [...] andar la mattina a buon’ora a montar sul ponte, perché il cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l’imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v’avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L’ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove”.

Le lunette Spesso passano in secondo piano, ma sopra l'Ultima Cena si trovano cinque lunette che raffigurano imprese degli Sforza dentro ghirlande di frutta, fiori e foglie, e che presentano iscrizioni su sfondo rosso. Meglio conservata delle altre, la lunetta centrale descrive in modo preciso alcune specie botaniche. Grazie alle tecniche digitali di restauro, in questa lunetta si è scoperto un biscione, il drago simbolo della famiglia nobiliare e della città di Milano. Secondo lo storico della scienza Mario Taddei, sulla base del ritrovamento del disegno preparatorio, si tratterebbe di un serpente che si trova esattamente sopra la testa di Gesù e striscia verso l’alto quasi uscire dal dipinto.