
Gabriele Rubini, alias Chef Rubio
Milano, 3 luglio 2016 - «Se Roma è schiaffo e carezza, Milano è un abbraccio». Parola di Gabriele Rubini, conosciuto come Chef Rubio, il cuoco poco più che trentenne, originario di Frascati, che si è conquistato il suo posto nel piccolo schermo come conduttore e personaggio televisivo. «Questa è una città che dà una possibilità a tutti».
A Milano è arrivato come chef o come atleta? «Da rugbista, quando militavo nella Overmatch Parma. Era il 2002, avevo 19 anni. Venni a Milano per “fare serata”, come si dice, e andammo in discoteca all’Hollywood. La mattina dopo avevo un allenamento a Parma e mi presentai senza aver dormito. Ma recuperai schiacciando un pisolino nel pomeriggio».
Dunque Milano la vide poco? «Sì, ma dal 2010, quando ho iniziato la carriera di cuoco professionista, sono tornato spesso. Quell’anno fui invitato all’Alcatraz alla serata di presentazione della prima edizione di Master Chef. Due anni dopo fui convocato da Discovery proprio a Milano per la conduzione di “Unti e bisunti”, il mio programma ormai alla terza edizione su DMAX». Rugby e cucina, un binomio inedito. È stato lei il primo ad incarnarlo. Una casualità? «In parte sì, anche se le mie due carriere per un periodo sono state parallele. Nel rugby ho esordito a 18 anni, mentre in cucina tre anni dopo, in un pub vicino Frascati, come lavapiatti per guadagnare qualcosa in più. Ho iniziato a cucinare nel 2005 in Nuova Zelanda a Wellington, dove venni reclutato come rugbista professionista dal Poneke RFC. Fui preso al ristorante italiano “Il Casino”, mentii dicendo di saper cucinare. Il titolare Remiro Bresolin, un veneziano, non tardò a smacherarmi, però mi tenne lo stesso. Lì sono entrato in contatto con le culture gastronomiche mondiali, dalla malese alla cinese e alla francese».
E lo sport? «La mia carriera è durata una decina di anni. Con annate di rilievo come il 2007 al Rovigo in Super 10. Ho lasciato il professionismo l’anno dopo restando nel semiprofessionismo. Ma tra il 2009 e il 2010 ho avuto problemi ad entrambe le ginocchia e alla fine di quest’ultimo anno ho mollato lo sport. Intanto nel 2006, quando giocavo a Piacenza, frequentai i corsi serali dell’Istituto alberghiero per rafforzare le mie basi in cucina e dopo mi diplomai. Ho anche studiato alla Scuola internazionale di cucina di Colorno. Dopo il rugby, ho iniziato a fare lo chef free lance e molte chiamate mi sono arrivate proprio da Milano».
Come sono i milanesi a tavola? «Molto esigenti, hanno una cultura gastronomica sviluppata. Se mangiano male in un posto non ci tornano. A Roma, invece, sono più faciloni, basta che siano in compagnia, per il resto dicono “ma che ce frega, ma che ce ‘mporta”. Vado spesso nei ristoranti di Milano, ora li frequento per cercare chi cucina meglio uno dei piatti della tradizione meneghina per eccellenza, l’orecchia di elefante cioè la cotoletta alla milanese. Ne ho già trovati alcuni, ma la mia ricerca continua».
E proprio da Milano è partito il suo riconoscimento come “icona gay”. Che ne pensa? «Milano è la città della tolleranza. Fa parte del mio dna combattere per le cause giuste e difendere i più deboli, quindi se come icona gay posso veicolare un messaggio positivo e attirare l’attenzione su fasce della popolazione che faticano a vedere riconosciuti i propri diritti, sono orgoglioso di poterlo fare».
Il luogo di Milano che preferisce? «La Stazione Centrale, è il crocevia della mia vita in questi ultimi tempi, per via dei miei continui spostamenti. È una costruzione monumentale, fantastica, luogo di incontro e anche ospitalità, come quella che proprio qui era stata offerta ai siriani. Mi piace molto la piazza antistante, anche il colpo d’occhio del grande viale a più corsie, cioè la via Vittor Pisani. Poi il porticato della stazione attira sempre i miei sguardi di ammirazione. Mi trasmette l’idea di un abbraccio».
Come va vissuta Milano? «Senza troppe illusioni, non bisogna pensarla come “l’America italiana”. Va invece osservata senza per forza pretendere di doverle strappare qualcosa. A Milano per riuscire non si deve essere ossessionati dalla ricerca di successo, anzi le si deve concedere tempo per capirti. Per esempio puoi andare in qualche posto, conoscere artisti, stare con loro, così “te la godi”, allora dirai che consideri Milano il trampolino delle tue passioni». mchiavarone@gmail.com