MARCO GALVANI
Milano

Cos’è la sindrome di Hunter che ha colpito il piccolo Filippo: diagnosi, sintomi e cura

Si tratta di una malattia ereditaria che emerge nei bambini molto piccoli.

I primi sintomi della sindrome di Hunter compaiono di solito tra i 2 e i 4 anni di età (foto d'archivio)

MILANO – Filippo ha solo 4 anni. Appena compiuti. Ora è volato da Milano in California, al Benioff Children’s Hospital di Oakland, nella baia di San Francisco, per sottoporsi a una terapia genica sperimentale nella speranza di guarire dalla sindrome di Hunter, una rara malattia genetica diagnosticata all’Irccs San Gerardo di Monza. “È solo una speranza, ma è molto più di niente”, il coraggio di papà Stefano. Ma che cos’è la sindrome di Hunter? E come si manifesta?

La diagnosi scientifica è Mucopolisaccaridosi II o MPS II. La chiamano anche Sindrome di Hunter, dal professore canadese che per la prima volta, nel 1917, descrisse questa rara patologia genetica caratterizzata da un progressivo deterioramento fisico dovuto al deficit dell'enzima L- iduronato-2-solfatasi (I2S). In pratica, il corpo non produce l’enzima che serve a ripulire le cellule dalle tossine che quotidianamente si accumulano, con conseguente danno alle vie respiratorie, cuore, fegato, milza, ossa, articolazioni, volto, collo e cervello.

Sintomi

Alla nascita i bambini sono normali, i primi sintomi compaiono tra i 2 e i 4 anni di età, soprattutto nei maschi trattandosi di una malattia ereditaria a trasmissione recessiva legata al cromosoma X. L'incidenza è di circa un caso su 100mila nuovi nati e si stima che nel mondo ci siano 2mila pazienti.

Come si manifesta

Le persone con la sindrome di Hunter presentano lineamenti del viso grossolani, crescita anomala di fegato e milza, rigidità articolare e deformazioni ossee, disturbi del comportamento e una regressione psicomotoria che comporta ritardo mentale, sordità, problemi cardiaci, difficoltà respiratorie e segni cutanei.

La diagnosi

Avviene tramite un esame delle urine e la misurazione dell’attività dell’enzima che dovrebbe ripulire le cellule, con un test genetico per identificare le mutazioni coinvolte. La diagnosi prenatale, invece, viene eseguita misurando l’attività enzimatica nel liquido amniotico o nei villi coriali, e si effettua nel caso in cui sia nota l’esistenza di fattori ereditari.

Cura e aspettativa di vita

Ad oggi non esiste una cura. Nel 2007 in Europa è stata approvata una terapia enzimatica sostitutiva con infusione dell'enzima ricombinante che, settimanalmente, viene effettuata per ripulire il corpo dalle tossine.

C’è, però, una terapia genica sperimentale che sta dando buoni risultati nei bambini finora trattati. Si tratta di una terapia che viene effettuata soltanto in quattro ospedali, al mondo, tre negli Stati Uniti, uno in Brasile. Consiste nella iniezione, tra cervello e cervelletto, di un farmaco innovativo che dovrebbe insegnare all’organismo a produrre l’enzima mancante. I primi pazienti sottoposti al trattamento hanno ripreso a produrre quell’enzima.

A seconda della gravità della patologia, l’aspettativa di vita dei pazienti può variare da 10-20 anni a circa 60.