Milano, 14 luglio 2020 - Puntavano ad accedere ai fondi per le imprese messi a punto dal Governo per sostenere il sistema imprenditoriale durante l'emergenza Covid. C'era anche il contributo a fondo perduto previsto nel decreto dall'8 aprile tra gli obiettivi della maxi frode fiscale sgominata dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Milano su disposizione della Dda milanese. Le società inserite nello schema di frode avevano attestato un volume d'affari non veritiero e fondato sulle false fatture dell'anno precedente anche per intascare quel denaro. In tutto sono 8 le persone sottoposte a misura cautelare, di cui 4 in carcere e 4 ai domiciliari e 7,5 milioni i beni sequestrati nell'operazione. Fra i reati contestati: associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alla frode, autoriciclaggio, intestazione fitta di beni e bancarotta fraudolenta. L'organizzazione aveva anche disponibilità di armi.
Le mani dei clan sui fondi Covid
Secondo le indagini coordinate dai magistrati antimafia, gli arrestati erano contigui al clan Greco di San Mauro Marchesato, che è considerato un'emanazione della 'ndrina di Caulonia (Crotone) operante anche sul territorio lombardo. Al centro dell'organizzazione c'era Francesco Maida, di San Mauro Marchesato, che gestiva società intestate a prestanome dei clan: in particolare una ha ottenuto 45mila euro a fondo perduto previsti dal decreto governativo dell'8 aprile per aiutare le imprese durante l'emergenza Covid. Per ottenerli usava Il meccanismo delle fatture false emesse.
Il meccanismo
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori la frode milionaria dell'Iva veniva perpetrata nell'ambito del commercio dell'acciaio, aiutata da una fitta rete di società "cartiere" e "filtro", affidate a prestanome. Diverse le imprese italiane che emettevano e registravano fatture false per operazioni inesistenti, arrivando a toccare il "plafond Iva" previsto per i cosiddetti "esportatori abituali": in questo modo manipolavano le liquidazioni periodiche per l'imposta sul valore aggiunto. Per arrivare ai fiancheggiatori delle cosche e ai gestori fittizi delle società sono state importanti anche le rivelazioni di collaboratori di giustizia, che hanno indicato i nomi degli affiliati ai clan che si occupavano della frode. L'organizzazione inoltre aveva messo in piedi un giro di autoriciclaggio di denaro illecito per oltre mezzo milione di euro avvalendosi di conti coerenti bancari aperti in Bulgaria ed in Inghilterra
Riciclaggio in Cina
Nell'organizzazione è coinvolto anche un cinese residente in Toscana, che aiutava i prestanomi dei clan a riciclare le grandi somme di denaro in contante per poi farle sparire inviandole in Cina. In base alla ricostruzione tracciata dalle analisi finanziarie della finanza, oltre mezzo milione di euro proveniente da una delle società inserite nello schema di frode è stato bonificato su conti correnti di banche del Dragone, a disposizione del cinese, anche lui arrestato. In questo modo i componenti dell'organizzazione drenavano fondi delle società sotto indagine, e il faccendiere cinese riusciva a inviare somme di provenienza illecita nella madrepatria, come non avrebbe potuto fare altrimenti tramite i canali legali.
Le intercettazioni
Sebbene il meccanismo ideato per frodare il fisco fosse elaborato e con tratti internazionali, gli affiliati ai clan 'ndranghetistici in Lombardia e altre regioni d'Italia mantenevano le loro 'tradizioni' relative alla minaccia e all'uso delle armi e al controllo del territorio. In una delle intercettazioni si legge della preparazione e della pulizia di una pistola: "Non ce l'hai messo il colpo dentro?"; chiede al suo interlocutore: "Ora è carica", è la risposta. "Questa è la sicura"..."Ora devo solo scarrellare e sono pronto"..."Sicuro ce non c'è il colpo in canna?", "No tranquillo", prosegue la conversazione. Infine uno dei due si allontana a bordo di una grossa moto da corsa, una Ducati Scrambler 800, temendo di essere troppo visibile e quindi di poter incappare in controlli delle forze dell'Ordine.