
Il 26 aprile del 2015 Pisapia e Sala inaugurarono la fine dei lavori: presenti oltre 70mila milanesi. Bilancio tra luci e ombre: punto di riferimento della città ma troppa incuria e allarme microcriminalità.
A dieci anni di distanza – l’anniversario esatto cadrà sabato prossimo, il 26 aprile – il ricordo del cronista che partecipò all’inaugurazione della “nuova“ Darsena parte da un’immagine nitida: la gente. Tanta, tantissima. Migliaia di persone – il Comune disse 70 mila – accorse nel Porto di Milano per festeggiare la fine dei lavori a pochi giorni dall’inizio dell’Expo 2015.
Certo, il restyling della Darsena, per anni abbandonata a sterpaglie e topi, era stato a lungo atteso dai milanesi. L’entusiasmo era giustificato. Ma un bagno di folle del genere stupì quasi tutti, anche i protagonisti di quel taglio del nastro, presente e futuro del Comune: l’allora sindaco Giuliano Pisapia, che poco più di un mese prima annunciò che non si sarebbe ricandidato alle elezioni comunali del 2016, e il commissario unico di Expo Spa Giuseppe Sala, che allora non aveva ancora annunciato la discesa in campo per Palazzo Marino. Pisapia e Sala salutavano da una barca che navigava in Darsena le migliaia di cittadini accorsi al Ticinese. Non si vedeva una folla simile dalla fortunata campagna elettorale del 2011 del candidato sindaco arancione che sconfisse l’uscente prima cittadina Letizia Moratti.
L’entusiasmo degli accorsi fece sperare qualcuno che Pisapia, acclamato da cori di “Bravo Giuliano“, ci ripensasse e corresse per il secondo mandato in Comune. Ma lui, già in quei minuti, gelò i facili entusiasmi: "Da questo orecchio non ci sento". A posteriori, quella sfilata in barca fu un perfetto passaggio del testimone tra sindaco in carica e futuro primo cittadino, cioè Sala, uomo simbolo dell’Expo. Ma quel giorno lo si poteva solo ipotizzare, non c’era certezza che il manager prestato alla politica prima come city manager della Moratti e poi come amministratore delegato dell’Expo riuscisse a vincere le primarie del centrosinistra e poi le Comunali.
Previsioni politiche a parte, tra i vari commenti sentiti quel 26 aprile 2015 ce n’era stato uno profetico: "Un altro rischio è che le mura di mattoni rossi che circondano il bacino d’acqua vengano imbrattate dai graffitari", si legge nell’articolo del Giorno che raccontava quell’evento. "Si vedrà", prendeva tempo il cronista. Alla prova dei fatti, quel rischio è diventato realtà: muri costantemente imbrattati da graffitari, writers e militanti politici. Sì, il Comune, tramite l’Amsa, interviene frequentemente per riportare le pareti di mattoni rossi al rosso originale che si poteva ammirare durante la festa di dieci anni fa, ma il problema resta. È questa, probabilmente, l’eredità negativa di quel progetto di riqualificazione della Darsena: non aver previsto che quei muri sarebbero diventati il bersaglio di chi voleva mettere la propria firma – artistica o politica o semplicemente vandalica – lungo una passeggiata che, grazie alla vicinanza con la riva dello storico corso d’acqua, è diventata uno dei luoghi più frequentati del capoluogo lombardo.
Un problema, quello degli imbrattamenti, che dieci anni dopo la festa in Darsena va ancora risolto. Il Municipio 1 – come raccontiamo nella pagina a fianco – ha proposto una soluzione: il verde verticale o pensile. Sarà quella buona?