SIMONA BALLATORE
Cronaca

Abilitazione all'insegnamento romena? La scorciatoia costa caro

Dai tremila ai diecimila euro per diventare prof a Bucarest e... fare ricorso: il Miur nonr iconosce i titoli

Test d'ingresso

Milano, 7 maggio 2019 - «Desideri tanto insegnare in Italia? Non hai il titolo abilitante? Consegui l’abilitazione all’insegnamento in Romania. Ottieni il riconoscimento in Italia. Approfitta della tua condizione di cittadino comunitario», invita una società di consulenza e assistenza che si offre come intermediaria. «In Romania: 12 giorni totali. Durata massima del percorso: 8 mesi. Lezioni online e corso di rumeno. Prezzo: tremila euro, vitto, alloggio e viaggio a carico del corsista», offre un altro sito. E sentendo chi ha tentato la via, le cifre arrivano fino a 10mila euro. Cambiano le formule, non l’obiettivo: ottenere l’abilitazione all’insegnamento in Romania.

Per far richiesta poi di riconoscimento in Italia. Bucarest la meta, ma anche Sofia. E prima ancora la Spagna. C’è chi giura di esserci stato un anno e chi confessa che in 15 giorni ha chiuso il percorso. Il Ministero per l’Istruzione ha messo i paletti: prima per la Bulgaria, chiedendo un anno di tirocinio in loco, e adesso per la Romania. I “Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II” conseguiti dai laureati italiani non valgono, tutte le richieste verranno rigettate. In massa. E si leva la protesta dei precari, con i legali al seguito. Fra loro ci sono docenti che erano nelle messe a disposizione in Lombardia e docenti che hanno tentato il concorso l’anno scorso e sono stati ammessi con riserva. Posizione accantonata. Alcuni hanno provato subito la via “veloce” e venivano da altre professioni, come dal mondo delle assicurazioni. Altri sono nella scuola da anni.

«Sapevano di non avere la certezza del riconoscimento - commenta Massimiliano Sambruna, Cisl Scuola Milano -. Servono percorsi abilitanti per la scuola italiana, non scorciatoie di una settimana o poco più. C’è il problema del precariato, è vero. Ma chi ha iniziato prima del 2015 le opportunità le avute». Il Tfa nel 2013, il “Pas” con i tre anni di insegnamento l’anno successivo. «È stata dura - ricorda Cinzia, professoressa di Lettere, entrata di ruolo nel 2016 -, ma personalmente io non sarei mai andata all’estero. Mi sono laureata nel 2010, hanno tolto la Siss (scuola di specializzazione all’insegnamento secondario, ndr). Ho aspettato il Tfa (tirocinio formativo attivo, ndr) del 2013 per l’abilitazione. E per entrare ho dovuto superare due scritti e un orale. Un anno accademico, lezioni alla sera dopo il lavoro, tirocinio non retribuito alla fine e un altro esame. Ho speso circa 2.500 euro». E alla fine del percorso l’abilitazione ancora non c’era.

Ha dovuto partecipare al concorso selettivo per abilitati. «E ce l’ho fatta. Nel 2018 hanno messo un altro concorso non selettivo. Continuano a cambiare le regole». E nel ginepraio ci sono precari che magari hanno mancato quell’unica occasione o confidavano nel “Pas” o che di finestre non ne hanno proprio viste. E che adesso tornano a confidare nelle prossime giravolte. Ieri c’era il tavolo in ministero per capire come stabilizzare i precari «storici» della scuola mentre continuano a fioccare ricorsi. Anche i legali romeni ribattono alla nota del Miur, contestando la traduzione - pure lessicale - delle direttive romene, e promettono battaglia per i loro assistiti. Che, dopo avere speso soldi per l’abilitazione oltre confine, tornano a mettere mano al portafogli confidando nel Tar e, già lo sanno, nel Consiglio di Stato. La “scorciatoia” si fa più lunga, e salata.