Milano – «Ho iniziato a prendere il Rivotril nel 2003 e poi ho continuato a prenderlo. Poi nel carcere di Poggioreale nel 2010 mi hanno somministrato il Rivotril e da allora l’ho sempre preso". Hassine Hamis, il trentasettenne marocchino che ha ridotto in fin di vita il viceispettore delle Volanti Christian Di Martino con tre coltellate sferrate per uccidere, ha raccontato alla gip Lidia Castellucci la sua vita in Italia. Una vita costantemente ai margini, fatta di lame sempre in tasca, periodi trascorsi in cella e costante assunzione di benzodiazepine e psicofarmaci. Una vita simile a quelli di tanti altri "fantasmi" metropolitani. "Io abitavo a Napoli e Salerno, ero a Milano perché volevo andare in Germania – le frasi messe a verbale davanti al giudice –. Due mesi fa, sono rientrato dalla Svizzera, a Basilea dove ho un camper". E ancora: "Sono sottoposto a terapia psichiatrica del tipo Rivotril e Lirica. Faccio anche uso di sostanze alcoliche. Sono stato in ospedale in provincia di Salerno e anche in provincia di Roma. Quando assumo Rivotril, mi sento meglio. Prendo circa sei pastiglie al giorno di Rivotril insieme all’alcol".
Un mix che genera effetti simili a quelli dell’eroina. Nello stesso interrogatorio, come già emerso ieri, Hamis ha dato una versione dell’aggressione che il gip ha ritenuto "del tutto inverosimile": l’uomo ha sostenuto di non aver compreso che davanti a lui ci fossero dei poliziotti, di aver lanciato pietre solo perché "pensavo che volessero farmi male" e che avrebbe tirato fuori il coltello dalla manica solo per evitare di farsi male al braccio. In realtà, l’allarme è stato lanciato da un capotreno, che ha segnalato i sassi scagliati contro la motrice del convoglio.
Senza contare le dichiarazioni sull’accerchiamento degli agenti: "Ho visto delle persone che stavano giocando con me e che mi puntavano contro tante luci dicendomi “adesso ti prendiamo”". "L’indagato – si legge nell’ordinanza che ha disposto il carcere per Hamis – ha provato a offrire una versione della vicenda alquanto edulcorata e diretta ad attenuare il portato offensivo delle proprie condotte". La realtà, secondo il giudice, è che il marocchino ha mostrato "estrema determinazione" nel portare a compimento l’azione lesiva, sferrando una serie di fendenti al viceispettore: solo "la prontezza degli agenti presenti" ha impedito che il raid "giungesse a consumazione"; e solo "il tempestivo intervento chirurgico" ha scongiurato "l’evento morte". Basti ricordare che nel corso dell’operazione sono state trasfuse 50 sacche di liquido ematico e 40 sacche di plasma e crioglobuline, "fino a più di 100 unità", e che il poliziotto è andato in arresto cardiaco per quattro volte.
Ora Di Martino è stabile nella terapia intensiva del Niguarda: ieri è stato sottoposto a una prima indagine chirurgica programmata (altre sono pianificate nei prossimi giorni) sul decorso degli interventi effettuati in urgenza a intestino, rene, polmone e arterie. Il trentacinquenne mostra timidi segnali di ripresa, ma rimane in prognosi riservata.