PAOLO GALLIANI
Cronaca

Addio al maestro della millefoglie. Morto il pasticcere Angelo Polenghi (che stregava pure i dottori coi dolci)

Cresciuto durante la guerra, orfano a 12 anni, creava meraviglie nel suo locale di via Lamarmora. Le ricette delle sue leccornie trasmesse al pronipote Mattia Biancotti, che porta avanti l’attività.

Un regalo. Averlo incontrato e conosciuto. E avere raccolto per anni le sue riflessioni di “maestro“ dell’alta pasticceria milanese, ancorché relegato nel piccolo locale di via Lamarmora, da molti considerato uno dei presidi più preziosi dell’arte bianca. Angelo Polenghi se n’è andato a quasi 92 anni dopo avere affrontato con grande dignità la lunga malattia che negli ultimi tempi l’aveva indebolito nel fisico ma non nella lucidità e nella saggezza.

Al contrario. A dispetto della sua onorevole età, lo abbiamo spesso visto muoversi tra laboratorio e banco della pasticceria dove aveva avuto l’intelligenza e l’amore di inserire il pronipote Mattia Biancotti, trasferendogli tutti i segreti del mestiere ed eleggendolo a suo alter-ego, spalla meritevole nella graziosa bottega storica dove i medici della Mangiagalli e del Policlinico, gli avvocati del Tribunale e le famiglie bene di Milano sono andati per decenni a fare incetta di sfornati con granella e savoiardi, di pan di Spagna e di lievitati davvero artigianali, per non parlare dei suoi cannoncini (tra i migliori della città) e della mitica Millefoglie che il patriarca della pasticceria cittadina aveva creato alternando tre strati di sfoglia a gustose distese di crema e chantiilly. Una storia, la sua, davvero commovente.

"Ero il tipico ragazzino cresciuto durante la guerra, con pochi grilli per la testa, perché averli era un lusso", confidava. Citando via Bodoni, zona Cagnola, dove papà Luigi, panettiere, aveva il suo negozio, purtroppo distrutto insieme all’abitazione famigliare durante un bombardamento. Poi, il trasferimento al 90 di via Giambellino e la necessità, dodicenne ma già orfano del padre, di dare una mano a mamma Elisabetta e alla sorella Maria sobbarcandosi ogni giorno l’andata e ritorno in tram fino a via Manara per prendere del pane da uno zio e poi rivenderlo in periferia. Tutto scritto. Avrebbe imparato a occuparsi di impasti e farine.

E così fece, dopo avere frequentato la Scuola comunale di via Molino delle Armi. Per poi firmare una sconfinata striscia di bontà in quella che sarebbe appunto diventata la sua pasticceria, al 31 di via Lamarmora. Si è spento ieri pomeriggio nel suo appartamento appena sopra la bottega, circondato dall’affetto dei tre nipoti e dei sei pronipoti. L’ultima volta che l’avevamo incontrato, Angelo aveva scomodato la frase dialettale che gli era cara e che usava per spiegare la sua distanza dal milanese borioso che se la tira anche senza avere grandi meriti: "El te pòrta in piazza e’l te fa nanca vedèe el Dòmm". Un vero gigante.