ANDREA GIANNI
Cronaca

Ahmed il sindacalista, messaggio ai maranza: “Non pensate di vivere senza lavorare”

Arrivato a 17 anni dopo cinque mesi di peregrinazioni lungo la rotta balcanica, è stato arruolato dalla Cisl per tenere i contatti con i giovani stranieri: “Si chiedono diritti senza sapere che ci sono anche dei doveri e delle regole da rispettare”

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Ahmed Mahmoud, sindacalista con la Filca Cisl

Milano, 30 novembre 2024 – “La grande illusione che accomuna tanti ragazzi a Milano è quella di riuscire a vivere senza lavorare, e si finisce su una strada da cui è difficile tornare indietro. Invece per crescere bisogna fare sacrifici, tutti i giorni, e lottare con le armi della legge per far valere i propri diritti”.

Ahmed Mahmoud, 22 anni, ogni giorno incontra giovani, come lui originari dell’Egitto, nei cantieri di Milano e dell’hinterland. È arrivato in Italia quando aveva 17 anni, dopo cinque mesi di peregrinazioni lungo la rotta balcanica con partenza il 7 ottobre del 2019 da Fayyum, città a sud del Cairo dalla quale provengono quasi tutti gli egiziani che lavorano nell’edilizia a Milano.

Dal suo arrivo si è guadagnato da vivere sgobbando senza sosta nei cantieri, per risparmiare il denaro da mandare alla famiglia e per ripagare un viaggio costato 16mila euro, finiti nelle tasche dei trafficanti. Proprio nei cantieri è entrato in contatto con la Filca Cisl di Milano, che lo ha assunto come operatore sindacale nel tentativo di entrare in contatto con un mondo spesso impenetrabile, in un settore segnato da problemi irrisolti come il lavoro nero e il caporalato.

Ahmed, qual è la sua impressione sui disordini scoppiati al Corvetto dopo la morte del 19enne egiziano Ramy Elgaml?

“La famiglia del ragazzo ha il diritto di sapere quello che è successo, è giusto che venga fatta chiarezza sulle cause della morte. Sono contrario, però, a ogni forma di violenza e ai vandalismi. Mi è capitato di incontrare alcuni ragazzi che hanno partecipato ai disordini ed è difficile avviare un dialogo con loro, parlano una lingua diversa rispetto a quella delle persone che trovo nei cantieri. La maggior parte dei giovani, appena arrivati o di seconda generazione, lavora tutto il giorno e fa tanti sacrifici. Poi c’è una minoranza che trascorre le giornate a bere alcolici o fumare, con il coltello in tasca e pronti a muovere le mani. Una minoranza visibile, perché è tutto il giorno sulla strada, che crea problemi a tutti. Da quando sono successe le violenze in piazza Duomo non vado più a festeggiare il Capodanno in centro, perché non voglio essere preso di mira o identificato dalla polizia in quanto nordafricano, per colpa di altre persone che hanno commesso dei reati”

È possibile, secondo lei, un recupero?

“Se una persona è abituata a guadagnarsi da vivere con furti, rapine e spaccio - spesso da quando è minorenne - difficilmente verrà a spaccarsi la schiena nei cantieri, anche con le migliori condizioni di lavoro. Ma quale futuro potrà avere? Ne vedo tanti che magari resistono due mesi e se ne vanno, poi li incontro per strada sballati. La scuola, le comunità e le varie istituzioni possono fare di più, nessuno è irrecuperabile, però le scelte di vita spettano alla singola persona. Dipende dalle compagnie che si trovano, dal carattere, dagli insegnamenti dati dalla famiglia. Poi tra tanti egiziani, che come me arrivano in Italia da giovanissimi, si crea anche un’illusione”.

Quale?

“Qui trovano uno stile di vita più libero rispetto a quello dell’Egitto, cercano di vivere come gli italiani senza capire che se gli italiani hanno una bella macchina e i soldi per divertirsi il sabato e la domenica nella maggior parte dei casi è perché lavorano sodo. Si chiedono diritti senza sapere che ci sono anche dei doveri e delle regole da rispettare. Quando succedono degli episodi violenti è un danno per l’immagine di tutta la comunità, composta da persone che vogliono lavorare e costruirsi un futuro in Italia: se uno va in un cantiere qualunque, a Milano, su cinque operai quattro sono egiziani.

I disordini al Corvetto hanno riportato sotto i riflettori anche il tema delle seconde generazioni.

“Chi è nato qui è italiano a tutti gli effetti, ha opportunità e carte da giocare ancora diverse rispetto a quelle di chi è cresciuto e ha studiato all’estero. Poi c’è il problema delle periferie, di quartieri che andrebbero riqualificati”.