Parsi
Il primo dicembre, dal 1988 ad oggi, si celebra la giornata mondiale della lotta all’Aids. Un’epidemia che ha causato la morte di 35 milioni di persone. E poiché siamo in tempi nei quali è tornato ad essere riproposto il termine “genocidio”, se questo non è un genocidio, allora il genocidio cos’è? Vero è che si tratta di un’epidemia mondiale che non ha risparmiato le persone in base a razza, colore, nazionalità ma laddove l’estrema colpevolizzante gravità del contagio, viene egregiamente denunciata nel romanzo di Maddalena Prinz “La sveglia”. E, anzi, emerge ancora come l’Hiv-Aids - oltre e più! - che essere una malattia, sembra rappresentare una punizione per peccati sessualmente commessi. Laddove “peccato”, per tanti, troppi irrisolti, frustrati impotenti, il sesso lo è! E nonostante il P Andrea Ganna del Massachusetts General Hospital di Boston, dopo aver intervistato 470mila persone abbia sancito che l’identità sessuale di genere è "l’espressione di un mix di fattori genetici, affettivi, educativi, traumatici ed ambientali e che, pertanto, si può parlare soltanto di “ non eterosessualità”", l’Hiv-Aids resta la malattia dei tossici e dei gay. Quasi questo pandemico contagio riguardasse soltanto loro e non "le più di centomila persone, oggi, in trattamento stabile con farmaci antiretrovirali" e le 2.344 nuove diagnosi di infezione da HIV registrate nel 2023. Così da perdere l’opportunità di prendere atto di una “crisi”- parola a radice greca che significa, appunto, “occasione” - in ragione della quale si può operare un cambiamento, lottando per non cedere al ricatto del tempo che scandisce la vita di ciascuno e di tutti. Prevenire significa scegliere di informarsi e di formare noi stessi e gli altri utilizzando, in modo interdisciplinare, tutti i linguaggi per la comunicazione e l’integrazione sociale. Occorre, infatti, prevenire per salvarsi dal peggio che avanza, dal contagio emotivo che, come ogni contagio, ha bisogno di un vaccino unificante. Ne siamo tutti, consciamente o meno, alla ricerca. Per salvarci. Ma non da soli, come sostiene Michael Quosit, sessantottino prete francese quando scrive: "Non ci si salva da soli. Ci si salva in metropolitana".