Dopo cinque anni Marco Cappato è tornato dai carabinieri per autodenunciare di avere accompagnato a morire in Svizzera, con il suicidio assistito, la signora Elena, 69 anni, malata terminale di cancro. La caserma è la stessa in cui, nel febbraio 2017 Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni che da anni si batte per la dignità e i diritti dei malati, si era presentato dopo aver accompagnato in una clinica svizzera Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo. Da allora qualcosa è cambiato in materia di fine vita, ma non abbastanza: Cappato rischia fino a 12 anni di carcere per l’accusa di aiuto al suicidio perché la sentenza della Corte costituzionale, che ha depenalizzato in parte il suicidio assistito in Italia, non contempla il caso di Elena. Elena, 69enne residente a Spinea, in Veneto, aveva un cancro ai polmoni in stadio avanzato ma non era sottoposta a trattamenti di sostegno vitale. Per questo motivo Cappato intende proseguire nella battaglia, per fare in modo che tutti i malati possano scegliere, senza discriminazioni, se porre fine alla loro vita. E per questo è disposto anche ad andare in carcere.
"Ho sottolineato ai carabinieri che, se sarò nelle condizioni e mi sarà chiesto, continuerò a farlo. Poi valuterà l’autorità giudiziaria se ci sarà la reiterazione di reato – ha spiegato una volta uscito dalla caserma accompagnato dall’avvocato Filomena Gallo, che è anche segretaria nazionale dell’Associazione Coscioni –. Che senso ha che una persona completamente paralizzata ha diritto al suicidio assistito e un malato terminale di cancro, con un’aspettativa di vita di pochi mesi, non ha diritto a questa scelta e deve affrontare quello che Elena ha definito un inferno. Non è degno di un paese civile". I carabinieri hanno trasmesso alla procura di Milano l’autodenuncia di Cappato, che per ragioni di competenza dovrebbe finire però a Venezia.