Milano, 9 novembre 2024 – Cita l’aforisma medievale per dire che “io sono un nano sulle spalle dei giganti e il primo gigante è Umberto Veronesi” Alberto Mantovani, primo lombardo in sette edizioni a essere insignito del “Nobelino” da un milione di euro creato dalla Regione alla memoria del Prof e consegnato ieri alla Scala. L’immunologo Mantovani, nato a Milano 76 anni fa, direttore scientifico dell’Humanitas e professore alla Queen Mary di Londra, “è stato un carissimo amico di papà che stimava tanto il suo lavoro”, ricorda Paolo Veronesi, presidente della Fondazione Umberto Veronesi.
Quest’anno non c’è bisogno del vincolo che accompagna il premio “Lombardia è ricerca”, di utilizzare almeno il 70% dei fondi in questa regione: il vincitore, che condivide il merito con i suoi collaboratori, spiega che tutto il milione servirà “a trattenere e reclutare qui l’oro del terzo millennio, che è l’oro grigio del cervelli. Noi in Italia lo produciamo, ma anche se in Lombardia siamo un po’ più bravi come Paese non l’attiriamo e non lo riusciamo a trattenere”.
I perché di un premio
Anche perché, osserva Veronesi, “siamo un po’ lontani dagli obiettivi” stabiliti dall’Ue, di investire in ricerca “il 3% del Pil. Siamo intorno all’1,5%, metà di quello che dovrebbe essere il contributo non solo pubblico ma anche privato”.
Premiare Mantovani che dirige la ricerca di un Irccs accreditato “è anche la testimonianza di come l’integrazione tra pubblico e privato, da sempre alla base del sistema lombardo, sia la strada”, osserva il presidente della Regione Attilio Fontana, ma a scegliere è stata, come sempre, una giuria di 14 scienziati internazionali ingaggiata sul tema delle Scienze della vita, “che più di ogni altro può migliorare la qualità di quella delle persone”, rimarca l’assessore lombardo alla Ricerca Alessandro Fermi.
Mantovani è stato premiato per le sue scoperte sul ruolo dell’immunità innata e dell’infiammazione nel cancro, e alla Scala si raccontano gli inizi, più di quarant’anni fa, del viaggio col quale la “riserva indiana” degli immunologi è arrivata a imporre “un cambio di paradigma nella visione dei tumori”, descritto da Mantovani con una metafora cinematografica, quando scrisse, nel 2009 su Nature, che l’ambiente infiammatorio ne è “il settimo sigillo”.
Passato e futuro
Un percorso che inizia con una di quelle scoperte ottenute cercando tutt’altro che lastricano la storia della ricerca di base: l’“osservazione inattesa” che i macrofagi, “la prima linea di difesa” del nostro organismo “all’interno del tumore si comportavano all’opposto: lo aiutavano a crescere”.
Le scoperte di Mantovani hanno aperto a indagini sul ruolo del sistema immunitario anche in patologie cardiovascolari e del sistema nervoso centrale, oltre a mettere le basi per l’immunoterapia che oggi è considerata una linea primaria nella lotta al cancro accanto a chirurgia, chemio e radioterapia.
“Siamo entrati in un continente nuovo, con tante vie da esplorare”, spiega l’immunologo: dai “farmaci viventi” come le CAR-T per le quali gli americani June e Rosenberg hanno vinto il Nobelino l’anno scorso ai “vaccini terapeutici”, all’indagine della “materia oscura costituita da un dieci, quindici per cento di proteine codificate dal genoma di cui non conosciamo la funzione. Non possiamo dare dei tempi, ma faremo progressi. Intanto, per favore, preveniamo insieme”.
Primato italiano
A 360 gradi, dai vaccini, “che sono le nostre cinture di sicurezza”, agli stili di vita: “L’esercizio fisico allena anche il nostro sistema immunitario. Nel nostro Paese abbiamo troppi bimbi in sovrappeso”.
E abbiamo, però, anche “un miracolo italiano: un malato con cancro qui ha una sopravvivenza superiore alla media europea e superiore o uguale a Paesi più ricchi che investono più di noi”.
Il merito? “Del servizio sanitario nazionale che dobbiamo custodire e curare, e soprattutto del personale sanitario – sottolinea Mantovani – I nostri medici, infermieri, tecnici, che vanno valorizzati. E rispettati”.