ANNA GIORGI
Cronaca

Alessia Pifferi, la madre di Diana condannata all’ergastolo punta all’appello: “Disagio psichico e danni cerebrali”

La legale della donna di 37 anni: “Al processo c’era un clima non sereno. Sono sempre più convinta che ci troviamo di fronte a una persona con grossi limiti, e un quoziente intellettivo di una bambina di 7 anni”

Alessia Pifferi con l’avvocata Pontenani

Alessia Pifferi con l’avvocata Pontenani

Non c’è ancora la parola fine nella vicenda giudiziaria di Alessia Pifferi. La donna, 37 anni, è condannata all’ergastolo, rea di avere abbandonato la figlia nel monolocale di via Parea a Milano per cinque giorni e mezzo: la piccola Diana, 18 mesi, era morta di fame e sete. Dopo la sentenza e le motivazioni, si profila l’Appello. Lo ha già annunciato la sua difesa. L’avvocata Alessia Pontenani è pronta a dare di nuovo battaglia perché venga rivista la pena massima.

La legale punta ancora sull’incapacità di intendere e volere della donna che da luglio si trova rinchiusa in una cella del carcere di Vigevano, in provincia di Pavia. Il trasferimento è stato disposto dal Dap, cioè dall’amministrazione penitenziaria, che lo ha poi comunicato alla Procura di Milano. È prassi consolidata che dopo sentenze così pesanti, come appunto l’ergastolo, ma anche per tutte le condanne al di sopra dei cinque anni, il detenuto non resti in una casa circondariale in cui, fra l’altro, nel caso della mamma assassina, ha attraversato tutte le fasi del lungo processo in attesa di sentenza.

Quanto alla condanna, l’avvocata Pontenani si toglie un sassolino dalla scarpa: “Penso non ci sia stato un clima sereno – dice – Senza l’inchiesta parallela forse la perizia psichiatrica sulla Pifferi non l’avrebbe ritenuta capace di intendere e volere”. Il riferimento è al fascicolo bis che coinvolge lei e le psicologhe del carcere di San Vittore. La tranche di indagine, ancora in corso, sempre coordinata dal pm Francesco De Tommasi, ipotizza una “manipolazione” per aiutare Pifferi ad ottenere una perizia psichiatrica in dibattimento.

L’Appello parte anche da alcune considerazioni che la legale farà sulle motivazioni della condanna. Nella sentenza dello scorso 13 maggio, la Corte d’Assise ha rimarcato che Alessia Pifferi ha scelto, accettando il rischio peggiore – cioè la morte della sua piccola – di “regalarsi un proprio spazio di autonomia, nella specie un lungo fine settimana con il proprio compagno, incurante del prioritario dovere di accudire la figlioletta di un anno e mezzo”.

Non solo. La donna, in aula, nel corso di tutte le udienze, ha tenuto un atteggiamento caratterizzato da “deresponsabilizzazione”, accampando “circostanze oggettivamente e scientemente false”, accusando il compagno di “essere stato l’artefice morale dell’accaduto”. Sintomi di una “carente rielaborazione critica”. E così facendo, si legge ancora nelle motivazioni della Corte, ha commesso un reato di “elevatissima gravità, non solo giuridica, ma anche umana e sociale”.

La legale insiste nel sostenere invece che Pifferi sia, almeno parzialmente, incapace di intendere e volere: lo dimostrerebbe anche la sua storia che parte da un disagio psichico dimostrato già alle elementari. “Entro fine ottobre depositerò il ricorso e intendo allegare esami diagnostici che dimostreranno lievi danni cerebrali. Sono sempre più convinta che ci troviamo di fronte a una persona con grossi limiti, e un quoziente intellettivo di una bambina di 7 anni”.