ANNA GIORGI
Cronaca

Alessia Pifferi trasferita al carcere di Vigevano. La sua legale: “A San Vittore davamo fastidio”

Per la Procura una procedura normale dopo la condanna all’ergastolo. L’avvocata Pontenani: "Ha lividi e segni di cimici, è in condizioni difficili, non incontra neppure la psicologa”

Alessia Pifferi a processo

Alessia Pifferi a processo

Milano – Alessia Pifferi, la mamma che proprio in questi giorni, due anni fa, lasciava morire di fame e di sete la sua bambina Diana di 18 mesi, è stata trasferita dal carcere di San Vittore dove, in questi anni, è stata da detenuta in attesa di giudizio ed è rimasta, poi, fino a due giorni fa da condannata all’ergastolo. La sentenza di primo grado è stata pronunciata a maggio. Da ieri Pifferi si trova, invece, rinchiusa in una cella del carcere di Vigevano, in provincia di Pavia. Il trasferimento è stato disposto dal Dap, cioè dall’amministrazione penitenziaria che lo ha poi comunicato alla procura di Milano.

È prassi abbastanza consolidata che dopo sentenze così pesanti (cioè maggiori di cinque anni), il detenuto non resti in una casa circondariale in cui, fra l’altro, nel suo caso, ha attraversato tutte le fasi del lungo processo in attesa di sentenza. Questa decisione può essere stata ulteriormente rafforzata da un problema strutturale di sovraffollamento della casa circondariale di San Vittore.

L’avvocatessa Alessia Pontenani che difende la donna non sapeva del suo trasferimento (non è obbligatoria la comunicazione) e descrive una detenuta comunque molto provata. "Scrive ogni settimana una lettera alla madre e alla sorella, per chiedere un incontro, ma nessuno le ha mai risposto". Inoltre, stando a quanto riferito da Pontenani, Pifferi non sarebbe in ottime condizioni di salute. "Nel corso dell’ultima visita in cella mi ha mostrato i lividi che ha su molte parti del corpo non so come se li sia procurati – spiega la legale – ed è piena di punture di cimici. Questa situazione esaspera ancora di più il suo disagio e i lati più polemici del suo carattere".

Anche se, quindi, il trasferimento non avrebbe niente di anomalo, ma al contrario rientra appunto nell’ambito di una procedura “ordinaria”, Pontenani resta critica sulla decisione dell’amministrazione penitenziaria. "Non si trasferisce una detenuta a 50 chilometri dalla sua avvocata e dal tribunale", dice. Sul motivo, ipotizza non solo la prassi ma anche una difficoltà nella gestione della donna dietro le sbarre: "Davamo fastidio, mi sembra chiaro – dice Pontenani – rompevamo le scatole. E questo nonostante le rassicurazioni ricevute recentemente sulla richiesta di far entrare a san Vittore la psicologa da me incaricata, possibilità autorizzata anche dalla Corte d’Assise".

Pifferi ha avuto, comunque, un crollo psicologo: "Vuole parlare solo con me, e non più nemmeno con la psicologa di cui ha assolutamente bisogno. Prima andavo a trovarla due volte a settimana ora con questa distanza mi è difficile e io da sola non sono in grado di aiutarla". La legale affida anche ai social un commento: "San Vittore si è liberato di un problema".

Se a maggio è stata pronunciata la sentenza di primo grado, a fine agosto dovrebbero essere depositate le motivazioni che hanno portato il collegio a decidere per l’ergastolo. Dopo i canonici novanta giorni quindi, lette le motivazioni che stanno a fondamento della decisione, la Pontenani presenterà appello perché venga rivista la pena massima. La legale punta sulla incapacità di intendere e volere.