Istantanee da una vita intensa, ricca e feconda di amore e insegnamenti, pur nella sua crudele brevità. Stroncata a 11 anni da un tumore al cervello diagnosticato quando ne aveva appena compiuti cinque, Amelie ha infine perduto la sua lunga ed eroica battaglia per la vita. “Era una guerriera”, raccontano con le lacrime agli occhi Gianni e Katharina, straordinari genitori che hanno saputo accompagnarla e trasformare il calvario della malattia e della disabilità in un percorso di amore, profonda condivisione, esperienze importanti, generoso e illuminato sostegno. Il fiume di parole di Gianni e Katharina ci restituisce il ritratto di una bambina di intelligenza e maturità fuori dal comune.
Il ricordo “Ha sempre avuto un'inesauribile fame di conoscenza – ricorda la madre –. A tre anni parlava due lingue, sapeva scrivere e invece delle favole con il papà leggeva Focus, frequentava un corso di danza e andava sui pattini. Fin dalla più tenera età è stata affascinata dal mondo, dalla scienza, dalla natura, dalle arti e dalla geografia. Per fortuna, prima che perdesse la vista all'età di cinque anni, ha avuto modo di vedere tanti diversi panorami, il mare, la montagna, la collina, i borghi e le città europee, e a distanza di tanto tempo la sua incredibile memoria fotografica era in grado di ricordare quei luoghi nei dettagli”.
“La sua meravigliosa curiosità – sorride Gianni – mi ha indotto a informarmi, riflettere e studiare più di quanto avessi fatto nel resto della mia vita, perché Amelie non ha mai accettato un 'non lo so' come risposta. Sulla guerra in Ucraina, per esempio, ho dovuto documentarmi per cercare di spiegarle ciò che alla sua acuta intelligenza emotiva pareva (giustamente) incomprensibile”.
Un amore e una famiglia nati da una svolta storica di pace: la caduta del Muro di Berlino. Katharina Theil, classe 1983, viveva infatti a Colditz, nella Germania Est. Dopo l'università si trasferisce a lavorare a Barcellona, dove vive in un appartamento condiviso con un'amica. Nell'aprile 2007 conosce così Gianni Lattanzio, amico della sua coinquilina. Si innamorano e dopo un breve periodo di relazione a distanza, Katharina si trasferisce a Bollate. Quattro anni dopo la coppia decide di “metter su famiglia”. La piccola Amelie nasce l'8 novembre 2011. Sembra perfettamente sana. Cresce bene e mostra un'intelligenza vivace e precoce. Verso i tre anni qualche volta lamenta un leggero mal di testa, non tale però da indurre a fare accertamenti. La situazione cambia a Capodanno del 2017.
“Stavamo tornando da una vacanza dai miei genitori in Germania – racconta Katharina –. Amelie ha detto che non riusciva a vedere bene. L'abbiamo portata al pronto soccorso il primo gennaio, gli esami hanno rivelato la presenza di un tumore che premeva sul nervo ottico. Il 4 gennaio è stata operata al Fatebenefratelli, ma purtroppo i chirurghi non sono riusciti ad asportare completamente il cancro. Nel giro di pochi giorni Amelie ha perso completamente la vista. Per tre mesi è rimasta in ospedale, sottoposta a radio e chemioterapia. Io le sono stata accanto giorno e notte, Gianni ci raggiungeva appena poteva”. È iniziato allora uno dei periodi più difficili.
“Amelie non si rassegnava all'idea di non poter più fare le cose che amava: scrivere, leggere, disegnare, danzare, andare sui pattini... Anche una volta tornati a casa, non poteva andare all'asilo e non sapevamo come riempire quelle lunghe giornate senza le sue passioni, l'asilo e gli amici – ancora Katharina –. Amelie è sempre stata orgogliosa e perfezionista al massimo, abbiamo dovuto lavorare molto per convincerla che qualche volta tutti noi abbiamo bisogno dell'aiuto degli altri. Che è giusto accettarlo e che chiederlo non è un segno di debolezza bensì un atto di coraggio”.
“Ci siamo rivolti all'Istituto dei ciechi e la tiflologa ci ha subito detto che era importantissimo che Amelie fosse messa in grado di continuare a svolgere tutte le attività che desiderava, adattandosi alla sua nuova condizione”, aggiunge Gianni. “La tecnologia è venuta in soccorso e Amelie ha imparato a leggere in braille sia su carta che sul pc e a scrivere su una normale tastiera. Ha ripreso danza, guidata dalla sua bravissima insegnante, partecipando anche agli spettacoli di fine anno. A pattinare siamo tornati insieme, lei grazie a una memoria fotografica davvero speciale ha sempre potuto muoversi in autonomia negli spazi conosciuti. Io poi amo il fai da te: pur senza vedere, riusciva ad aiutarmi a imbiancare o attaccare i quadri. Per permetterle di 'sentire' la sua amata geografia in pausa pranzo ho costruito in legno mappe delle città amate e un puzzle dei Paesi europei. Facevamo a gara a ricordare le capitali di tutto il mondo”.
“Con il potere dell'immaginazione abbiamo vissuto insieme mille avventure – sorride Katharina –. Ma le mancavano gli amici con cui giocare. Un pomeriggio siamo andati nel parchetto davanti all'asilo. I suoi piccoli compagni si sono avvicinati, curiosi e felici di rivederla. Lei, con la spontaneità dei suoi 5 anni, ha raccontato loro che una 'pallina' che aveva nella testa le aveva distrutto la vista. 'Ma se metti le gocce negli occhi non guarisci?', le hanno chiesto. 'No', ha risposto lei semplicemente. 'Ok – hanno detto loro, prendendola per mano – andiamo a giocare adesso'. E da allora nostra figlia non è mai stata esclusa a causa del suo handicap. In giardino giocavano a nascondino e moscacieca. Un giorno è tornata a casa con un bernoccolo: correndo era finita contro un albero. Niente di grave, abbiamo detto all'insegnante: non vogliamo metterla sotto una campana di vetro e impedirle di fare ciò che desidera, per quanto possibile. Anche alle elementari condividere con gli altri studio, impegno e gioco è stato sempre naturale, 'normale'. Aveva la media del nove”. Scuola e non solo: la sua straripante voglia di vivere e apprendere l'ha sorretta sempre. Alla festa di un'amica in maneggio ha provato a montare su un cavallo e se n'è innamorata, amava la musica classica e ha imparato a suonare il piano. La forza della solidarietà tra bambini è tornata a svelarsi anni dopo, in quinta elementare. L'insegnante di italiano aveva dato un tema sulla pandemia e sui suoi dolorosi effetti nella vita dei bambini. “Amelie scrisse che il Covid aveva influito poco sulla sua quotidianità. 'Vivo tutti i giorni con questi occhi che non funzionano, per me è normale lottare'. Quando le fecero leggere il tema in classe, scoppiò a piangere. A quel punto anche altri bambini si sentirono liberi di esprimere le loro pene: uno raccontò del nonno morto di Covid, un altro dei genitori che stavano divorziando. Il coraggio di Amelie è sempre stato contagioso, possiamo dire che ci ha aiutati in questo lungo calvario almeno quanto noi abbiamo aiutato lei”.
Anche con i medici ha sempre avuto un dialogo franco e diretto. “Voleva che le spiegassero cosa le stavano facendo e perché, e anche noi non le abbiamo mai mentito. Nessuno pensava al momento della diagnosi che sarebbe vissuta per più di sei anni, possiamo dire che è 'rinata' almeno due volte. La forza da combattente della sua mente meravigliosa e l'amore da cui era circondata l'hanno sostenuta oltre ogni aspettativa”. Matura e consapevole, mai ripiegata su sé stessa. “Il clima e i diritti umani sono sempre stati nei suoi pensieri. Andava a manifestare ai 'Fridays for future', voleva battersi perché tutti i bambini del mondo potessero andare a scuola, leggeva libri 'per grandi', quello di Malala, romanzi sulla guerra e sull'Olocausto. Dopo essere stata ricoverata all'Istituto dei tumori, quando ha subito il secondo intervento, ha detto: 'Sai mamma, io sono fortunata. Ho perso soltanto la vista, invece là ho conosciuto ragazzi che non possono neanche capire e neppure camminare'”. Una condizione di impossibilità di muoversi che ha coinvolto anche lei, negli ultimi mesi, a causa del progredire implacabile del tumore. “Ma la portavamo fuori in carrozzina e Gianni legava le sue gambe alle proprie per tirare insieme qualche calcio al pallone”.
E ora? Dopo tutti questi anni dedicati anima e corpo alla figlioletta, cosa resta a questa coppia di eroici e straordinari genitori, che senza accorgersi ogni tanto usano il tempo presente riferendosi ad Amelie? “Mescolato al grande dolore sentiamo anche un po' di sollievo: in questi 6 anni e mezzo di percorso oncologico ci sono stati anche tanti momenti terribili. Ci sostiene il pensiero che per quanto breve, la sua vita è stata piena, ricca, intensa e anche felice – concludono Gianni e Katharina –. E dobbiamo ringraziare dal profondo del cuore tutte le persone meravigliose che sono state al nostro fianco in questa impresa. Vorremmo restituire almeno in parte il bene che abbiamo ricevuto. Abbiamo creato un progetto, “Il volo di Amelie” (per donazioni, associazione DavideilDrago, IBAN IT10Q050340164700000003625, causale Erogazione liberale Progetto Il volo di Amelie), per raccogliere fondi e sostenere piccole associazioni come quelle che ci hanno tanto aiutato. E poi vorremmo raccontare la nostra storia alle famiglie che si trovano in condizioni simili e anche a tutte le altre, per far loro capire che non bisogna mai dare nulla per scontato e che si può vivere una vita piena e ricca anche combattendo una grave malattia. Ogni giorno è prezioso, e l'amore sa sempre renderci migliori, più forti e felici”.