Milano, 29 febbraio 2016 - Nelle grandi fabbriche, nei lavori per il metrò, persino alla Scala. L’amianto ha fatto vittime dappertutto. Anche in un laboratorio di falegnameria. È successo in città e la vicenda è già finita a processo. A rispondere di omicidio colposo per inosservanza delle norme in materia di sicurezza sul lavoro è Franco R., 63 anni, titolare di un piccolo laboratorio di falegnameria in zona Navigli, dove egli stesso lavora. A metà degli anni ’80 produceva diversi tipi di mobili per interno, e ad aiutarlo c’era il suo dipendente Giuseppe S., che trent’anni dopo, ormai settantenne, si sarebbe ammalato fino a morirne di mesotelioma pleurico, tipica malattia legata alle micidiali fibre.
Tra l’85 e l’89 S. lavorava a una particolare linea di mobili Intercolumnio line, trattando strutture tubolari di cemento-amianto che dovevano essere tagliate fino a ridurle alla misura idonea a sostenere i mobili. Poi venivano anche forate e tassellate, tutti lavori che liberavano fibre d’amianto «in assenza di qualsivoglia accorgimento a tutela della propria salute», accusa il pm Maria Letizia Mocciaro. Tutto ciò «adattando una sega circolare per piastrelle (non dunque con un macchinario idoneo allo scopo)».
Secondo la Procura sarebbero diverse le norme in materia di sicurezza sul lavoro che il falegname-imprenditore non avrebbe osservato, contribuendo così a far ammalare il suo dipendente. Non l’avrebbe informato sul rischio specifico, né sulle modalità per prevenirlo, né avrebbe adottato misure volte ad impedire lo sviluppo e la diffusione delle polveri, tenendo anche conto della loro natura e della loro concentrazione in atmosfera. Fra l’altro, Franco R. per il pm Mocciaro non avrebbe mantenuto puliti i locali di lavoro, magari «facendo eseguire la pulizia, per quanto possibile fuori dall’orario di lavoro e in modo da ridurre al minimo il sollevamento della polvere nell’ambiente, oppure mediante aspiratori».
Nulla di tutto questo. R., per l’accusa, non stabilì «neppure la separazione dei lavori nocivi con le altre lavorazioni», così come «ometteva di adottare tutte le misure tecniche necessarie a ridurre la dispersione delle polveri di qualunque genere». Come solitamente accade, il mesotelioma pleurico ci mise più di trent’anni a manifestarsi. Ma quando venne diagnosticata allo sfortunato S., nel maggio del 2012, gli lasciò appena sei mesi di vita. Ora il figlio è parte civile al processo contro R. davanti al tribunale.