
Amos Spiazzi primo da sinistra insieme agli imputati del processo
Milano, 7 dicembre 2020 - Spiazzi, il 7 dicembre 1970 lei è a Verona, alla caserma "Duca" di Montorio, già in attesa di rincasare a fine servizio.
Come e perché rimane coinvolto negli eventi?
"Nel tardo pomeriggio arriva un fonogramma, cifrato. L’ordine dice “Attuare Esigenza Triangolo“, che vuol dire: “L’esercito con i reparti scelti esce per aiutare polizia e carabinieri a eliminare eventuali azioni di sabotaggio o di insurrezione che possono esistere nel Paese“. Il mio comandante di gruppo era assente per servizio, ero io l’ufficiale più anziano e quindi il responsabile dell’unità. Dovevo armare il contingente e partire subito, con i pezzi d’artiglieria sui trattori, alla volta di Segrate. Lì ci avrebbero atteso i Lancieri di Milano che con noi dovevano presidiare l’area di Sesto San Giovanni, che era una zona calda, a netta predominanza comunista, per la massiccia presenza di fabbriche. Toccava a noi, in caso di disordini, fronteggiare, arrestare e consegnare alla polizia i dimostranti o chiunque turbasse l’ordine pubblico".
(...) Lei cosa avrebbe dovuto fare esattamente?
"Armare il mio reparto e partire alla volta dell’obiettivo. L’Esigenza Triangolo mobilitava i reparti di qualsiasi arma: fanteria, cavalleria, artiglieria, ognuno con un obiettivo preciso. Il mio era raggiungere Sesto San Giovanni con il maggior numero possibile di pezzi d’artiglieria, in appoggio a eventuali reparti di fanteria. In tutto, quel giorno, una batteria di cannoni da 105 mm e 18 uomini con quattro mitragliatrici. (...) Il piano prevedeva che, giunto ad Agrate, sarei dovuto uscire dall’autostrada e congiungermi con i Lancieri di Milano che ci aspettavano al casello. Un reparto di carri armati, di cavalleria corazzata". (...)
A Sesto San Giovanni non stava succedendo niente. A Roma, invece, sì. (...) L’atmosfera è pesante. Lei come lo scopre?
"Con una telefonata, giunta in ufficio appena cinque minuti prima del fonogramma. D’all’altra parte del filo c’è il generale Corniani, militante monarchico e responsabile del Fronte Nazionale di Borghese a Verona. “Spiazzi“, mi dice al telefono, “finalmente facciamo il colpo di Stato, la rivoluzione“. E io: “Cosa dice, signor generale, sta scherzando?“. “Nessuno scherzo“, mi spiega, “è arrivato l’ordine del comandante Borghese di andare a Roma con tutti i gruppi B“"
I gruppi B?
"Borghese aveva diviso le forze del Fronte Nazionale in due gruppi ogni città. (...) Il gruppo B era quello creato per spostarsi e prendere parte alle manifestazioni. Proprio quello che stava succedendo il 7 dicembre del’70. Borghese aveva indetto un’adunata di tutti gli iscritti al Fronte, una grande mobilitazione a Roma in vista dell’arrivo di Tito per la stipula degli accordi sulla cessione della “zona B“ alla Federazione Jugoslava che l’amministrava fiduciariamente anche se palesemente italiana. A giudicare da quanto Corniani mi dice al telefono quel pomeriggio, c’è chi sperava fosse scattata l’ora X. “Auguri“, gli dico un po’ incredulo prima di riattaccare, ma poi capisco che stavano cadendo tutti in un’enorme trappola".
Si spieghi.
"Pochi minuti dopo la telefonata di Corniani mi arriva il fonogramma. È cifrato, e viaggia su due strade: sulla linea operativa, quindi dal comando di reggimento che per me era Cremona (che l’ha a sua volta ricevuto da Milano), e sulla linea locale. Mi arriva, cioè, dal comando presidio di Verona e dal commiliter di Padova. Arrivano due fonogrammi, uguali: “Attuare Esigenza Triangolo. Attuare Esigenza Triangolo“. Chiedo conferma, mi arriva immediatamente. Capisco che, così come veniva mobilitato il mio gruppo, lo stesso stava succedendo in altre parti d’Italia. L’esercito, cioè, veniva mandato nelle piazze per reprimere manifestazioni e scontri annunciati. Ma l’unica manifestazione prevista era quella organizzata da Borghese. Ovvio che dovessi avvertirlo".
L’operazione “Tora-Tora!“, come il Principe Nero ha battezzato l’azione, viene bloccata dallo stesso Borghese preavvertito da una telefonata. Lei, anni dopo, se ne assumerà la responsabilità. Lo conferma?
"Sissignore. Di colpo capii che a Borghese era stata tesa una trappola e che, anche in nome dell’amicizia e dell’ammirazione che mi legavano a lui, dovevo avvertirlo. Telefonai due volte, perché la prima non riuscii a farmelo passare. Comunque ci parlammo, molto chiaramente. E il Comandante mi ringraziò per quella chiamata".
Tutto questo a che ora avviene?
"Direi fra le 18 e le 19. Alle 21, infatti, io e i miei uomini eravamo già alle porte di Milano".
Ma allora perché il contrordine di Borghese arriva solo a mezzanotte, quando i congiurati sono già entrati in azione?
"Può darsi che non sia riuscito a bloccarli prima o che non sia riuscito a bloccare tutti i gruppi simultaneamente e che quelli che si erano spinti più avanti siano stati fermati che era ormai notte fonda. Credo, per esempio, che i militanti di Avanguardia Nazionale abbiano gestito un po’ a modo loro l’operazione. Certo è che alle 21 l’allarme era già rientrato, perché io ricevetti istruzioni di rientrare a Verona".