REDAZIONE MILANO

La V-reporter Angelina si racconta fra tv e privato: la mia Milano è buona, non buonista

Alessandra Angeli, "inviata" di The Voice ricorda le tappe della sua vita dalla Verona dove è nata "maschietto" alla Roma sofferta fino al ritorno nel 2010 sui Navigli in una città "che rispetta la privacy delle persone" di MASSIMILIANO CHIAVARONE

Alessandra Angeli, la V-reporter Angelina (Newpress)

Milano, 27 marzo 2016 - «Milano non è buonista. È una città buona che rispetta la privacy delle persone». Lo racconta Alessandra Angeli, ormai conosciuta come Angelina, la V-reporter dell’attuale edizione di «The Voice» su Rai 2. «È una capitale a misura di essere umano ed è studiata per facilitare la vita dei cittadini».

Lei è veronese di origine, quindi non così lontana da Milano.

«E infatti la mia prima volta qui fu verso gli 8-9 anni, diciamo nel mio periodo pre-transizione, quando ancora mi presentavo come un maschietto. Vengo appunto da Verona, una città d’arte opulenta, Milano al confronto mi sembrava una signora votata al non apparire. Al contrario di quello che mi accadde a Milano alcuni anni dopo».

Ha cominciato a esibirsi in questa città?

«Sì, come cubista alla famosa serata Exogroove del trendsetter Gabon. Era la fine degli anni ‘90, questa città era un giacimento di creatività, la moda aveva contaminato tutto. Avevo 19 anni e vivevo appieno la mia femminilità: mi sono presto riconosciuta come donna. Sono alta 1,83 e in quel periodo pesavo solo 68 chili».

E poi cosa è accaduto per causare il cambiamento delle sue proporzioni?

«Un incidente stradale a Verona quando avevo 20 anni. Sono stata ferma un anno e ho cominciato a ipernutrirmi per tacitare l’ansia. Ho lottato poi contro questa dipendenza rivolgendomi a diversi specialisti, ma il cammino per debellarla è lungo. Dopo il liceo artistico, ho seguito un corso di grafica pubblicitaria, in seguito ho deciso di trasferirmi a Roma, dove ho vissuto 11 anni».

Ragioni di cuore o di lavoro?

«Entrambe, ma la molla sono state le prime. Con Roma ho avuto un rapporto combattuto è una città di grande fascino, ma la quotidianità può essere frustrante per la mancanza o carenza di servizi».

E dunque quando ha deciso di tornare a Milano, questa volta per viverci?

«Nel 2010. Intanto già nella capitale mi ero rivelata come make up designer, professione che ho cominciato circa 15 anni fa. A Milano mi sono stabilita in zona Maciachini, che mi sembra Berlino Est per il melting pot di etnie».

Qual è la via milanese che preferisce?

«La via Bovisasca, periferia  nord-ovest. Mi sembra l’anello di congiunzione tra inurbamento e urbanizzazione. Tra la Milano multietnica, quella criminale del passato alla Vallanzasca e i palazzoni razionalisti del Politecnico. Questo panorama trasmette un’idea di resilienza, di capacità di resistere ai colpi del destino, lo dico guardando le cascine diroccate del quartiere, bellissime se fossero recuperate, ma a tutt’oggi fatiscenti eppure abitate con tanti panni stesi ad asciugare. Oltre che di carboidrati mi nutro di malinconia, un sentimento che non respingo e che provo osservando una bellissima fabbrica di porcellane che sorge proprio in questa via, con una struttura dalle linee arrotondate in stile Art Deco. E’ come un frame del passato che mi rimanda a quando vivevo a Verona vicino al Consorzio Agrario che era stato abbandonato, ma per noi bambini era un luogo fantastico da esplorare».

E poi nella sua vita è arrivata la tv. Se n’è fatta una ragione?

«Ci sto provando. Scherzo naturalmente. Mi ha incoraggiata Costantino della Gherardesca che è un caro amico. A «The Voice» mi trovo molto bene perché riesco a tenere aperte più porte: quella tradizionale del piccolo schermo e quella più dinamica del web anche se devo stare attenta a non usare parole colte, altrimenti gli autori mi dicono che sono troppo «alta» e che devo rendere il mio linguaggio più semplice».

Perché dice che Milano facilita la vita dei cittadini?

«Perché non è una città né transfobica né omofoba, rispetta gli orientamenti sessuali delle persone. Per me la transizione non è una scelta, è una necessità. Qui c’è disponibilità e discrezione, come mi è capitato andando negli ospedali milanesi, nessuno mi chiede perché nel documento risulto di sesso maschile. A Roma invece ho avuto brutte esperienze come anche a Verona. Meno male con le nuove regole si può ottenere la modifica dei dati anagrafici anche senza sottoporsi a un’operazione di cambiamento di sesso, troppo invasiva e che non mi sento di affrontare. E infatti il mio nome Alessandra, l’ho scelto da piccola perché Alexandros significa «Salvatrice di uomini», la mia forza è nella somma delle cose non nella sottrazione».

Ma qual è il suo vero nome?

«Non lo dirò mai».

di MASSIMILIANO CHIAVARONE

mchiavarone@gmail.com