
I rilievi sul luogo del delitto; nel riquadro, Angelito Manansala
Milano, 22 aprile 2025 – “Un uomo riservato, di poche parole, sempre cordiale. Un grande lavoratore. Usciva la mattina e tornava a casa la sera. Un dispiacere immenso sapere che sia lui la vittima dell’omicidio di via Randaccio. Non potevamo immaginarlo”. Lutto nel condominio in cui abitava Angelito Acob Manansala, il domestico filippino di 61 anni strangolato il giorno di Pasqua, vittima secondo quanto emerso dalle indagini del ladro-assassino Dawda Bandeh, intrufolatosi nella dimora in cui l’uomo prestava servizio.
A parlare sono alcuni vicini di casa e Saverio L., il custode del caseggiato tra le zone di Niguarda e Bicocca, nello spicchio nord della città, in cui Angelito viveva insieme alla compagna connazionale Laurelia Arriola da circa sei anni. Domenica la donna si è presentata in via Randaccio, non appena ha saputo della tragedia. Ieri era al Consolato delle Filippine a Milano, in viale Stelvio, dove ha ricevuto supporto. Lei e Angelito, ha fatto sapere, si sarebbero dovuti sposare a ottobre nelle Filippine. Ora, dice in lacrime, nel Paese vuole portare al più presto la salma del suo amato.
“Verrebbe da dire che Angelito si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma lui stava solo lavorando (stava accudendo gli animali del padrone di casa, due cani e un gatto, ndr). Probabilmente ha provato ad allontanare l’intruso, ha fatto semplicemente il suo dovere ed è stato ucciso. Nessuno merita di morire così. Mi fa rabbia. Io desidero che abbia giustizia”, commenta una vicina.
Nel pomeriggio di ieri, i primi residenti interpellati nel condominio, incrociati nell’androne e in cortile, non sanno che la vittima dell’omicidio di via Randaccio sia Angelito Manansala. Il suo nome e cognome non compaiono neppure sul citofono. Poi, a poco a poco, il collegamento prende corpo. “Era il compagno di Laurelia, che vive qui da tanti anni. Era venuto ad abitare in questo condominio qualche anno fa, insieme a lei”. Al vedere la foto del viso, non hanno dubbi: “È lui”. La foto è una di quelle che l’uomo aveva pubblicato sui suoi profili social: su Facebook e Instagram si può vedere un po’ della sua vita, almeno di quella che lui voleva mostrare al mondo.
Immagini di viaggi, di moto e jeep ma anche di gite in bicicletta. Anche se era un grande lavoratore, non si dimenticava di “vivere“. Ed era stato lui a sottolineare il concetto con una foto, postata qualche anno fa con questa scritta: “Non essere mai così impegnato a guadagnarti da vivere, da dimenticarti di vivere”. In un’altra compare di spalle mentre pedala: “La fatica – evidenziava – è la mia migliore amica”.
Immortalato nelle Filippine, la sua terra d’origine, ma anche a Milano, la sua città d’adozione, dove lavorava e aveva trovato l’amore. Su Instagram c’è una foto che unisce i suoi due mondi: in uno scatto, in piazza Duomo spunta una donna filippina in abiti tradizionali. Il momento catturato risale al 30 aprile 2023, giorno del “Sinulog Festival“ celebrato dalla comunità filippina, che onora Gesù Bambino (o Señor Santo Niño). Poi, sotto una galleria d’immagini, lo scorso 16 febbraio scriveva: “La vita è piena di momenti senza prezzo”. È felice con gli amici, al tavolino di un bar, dopo una battuta di pesca, in gruppo, con la compagna, durante le sue avventure ed escursioni. Adesso, per lui, cominciano ad arrivare messaggi di cordoglio: “Riposa in pace fratello Angelito Manansala. Grazie fratello per essere stato buono. Dovrai avere giustizia”.
Non è la prima volta che la comunità filippina viene sconvolta da un fatto di sangue. Il 6 agosto del 2010, la quarantunenne Emlou Arvesu, madre di due figli, che si guadagnava da vivere facendo la collaboratrice domestica, fu massacrata da Oleg Fedchenko, un pugile ucraino di 25 anni con disturbi mentali che la prese a pugni fino a ucciderla, in viale Abruzzi. L’uomo uscì con l’intenzione di spezzare la vita della prima persona che avrebbe incrociato per strada. Disgraziatamente, si trattò di Arvesu.